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IL PASTO DELLO SCIACALLO

(due parti)

 

 

 

 

 

 

 

[Testo tutelato dalla Società Italiana degli Autori e degli Editori (S.I.A.E.)]

 

 

 

 

 

Breve sinossi:

 

Come potremmo definire Mario, il protagonista: un autentico disadattato, un eterno insoddisfatto, un inguaribile pessimista? Forse andrebbero bene tutte e tre le definizioni, e magari qualcun’altra. In realtà Mario si sente escluso da una vita normale e fallisce tutti i tentativi compiuti per rimediare a questa carenza. Ciò nonostante la sua esistenza non si svolge nella solitudine, ma è ricca di esperienze interessanti affrontate con lucida consapevolezza.

 

Genere: ironico - satirico

Durata: due tempi

Personaggi: 6 uomini e 4 donne, che possono ridursi a due uomini ed una donna.

 

 

 

 

 

 

 

 

I PERSONAGGI (in ordine di entrata)

 


MARIO


CORRADO

PORTIERE

GOFFREDO

DIRETTORE EDITORIALE

GIOVANNI

 


VIRGINIA

CARLA

SEGRETARIA

GABRIELLA


 

LA SCENA

 

I seguenti mobili:

 

– una scrivania

– un gabbiotto di portineria

– un divano con tavolino e armadietto

– altra scrivania con poltrona

 

collocati sul palcoscenico. Attorno a questi si svolgeranno i vari episodi.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRIMA PARTE


 

 

 

 

 

 

 

(Mario al proscenio)

Mario

– Sì, lo sospettavo da tempo, ma non avevo ancora la certezza in pugno: oggi posso dire di averla raggiunta, finalmente.

(sorride)

"Finalmente!" come se una rivelazione del genere mi avesse riempito di gioia, invece di farmi piombare nei più nero sconforto. Basta un solo avverbio usato sconsideratamente per travolgere il significato di ciò che si vuoi dire. Con "finalmente" volevo soltanto salutare l'uscita da uno stato di dubbio e l'arrivo di un momento di coscienza responsabile.

L'operazione non è stata indolore, è vero, ma non ho niente da rimproverarmi. C'è qualcosa più triste del trovarsi a brancolare nel buio senza alcuna direzione da seguire? Ora so. E non per un lampo che arriva a illuminare la scena nella quale siamo inseriti: non è accaduto così, l'ho già detto. E' stato il chiarore lontano che a poco, a poco si ravviva e riesce a tratteggiare i contorni delle cose, in modo che anche occhi ormai abituati all'oscurità riescono a percepire la costruzione che sta emergendo dalla notte. Se proprio allora ti accorgi che quella verità che viene avanti dentro di te l'hai sempre combattuta, che hai respinto dubbi e sospetti sui quali non hai indagato a sufficienza, che hai cercato di costruire una diga difensiva sull’esiguo margine di incertezza che era rimasto. Viltà, ipocrisia, o soltanto umana paura?

Ma parliamo di oggi che è avvenuta la resa. Dolorosa, sofferta, senza condizioni. Stavo facendomi la barba davanti allo specchio e ad un tratto ho sentito estranea la guancia insaponata sulla quale passavo il rasoio. Avevo l'impressione che quello spazio di pelle coperto dal sapone non mi appartenesse: un aratro stava solcando un terreno sconosciuto. Allora mi sono guardato a lungo nello specchio fissandomi diritto negli occhi sbiaditi, e sono arrivato alla conclusione del viaggio intorno a me stesso. "Tu non esisti" mi sono detto "è inutile che tu voglia provarmi il contrario mostrandomi, che so, l'abito che hai indossato in questi giorni e che conserva ancora il tuo odore, oppure il letto dove hai dormito, con il materasso che mantiene al centro la forma del tuo corpo: non esisti. Tutti i segnali che potrebbero smentirmi non contano nulla. Che valore vuoi che abbiano dei pezzi di carta come il passaporto o la patente di guida?... un momento! la cartella delle tasse potrebbe costituire un'indiscutibile prova di esistenza, quella sì che..." Strano che proprio la cartella delle tasse sia riuscita a darmi conforto e coraggio. Ma la sensazione è durata poco, perché ho pensato subito a come funzionano le cose in quegli uffici dove anche i fantasmi corrono il rischio di venire tassati. "Che cosa tiri fuori adesso? il cuore che continua a battere regolarmente nella cassa toracica, o l'appetito che ogni giorno devi soddisfare, oppure le fitte del molare sinistro che ogni tanto si fanno sentire. Come se il respirare, il digerire o il mal di denti potessero dimostrare la tua esistenza. Guarda quel pezzo di legno trascinato dalla corrente del fiume: salta sulle onde, si immerge, torna a galla... sembra proprio vivo, ma vivo non lo è. Viva è l'acqua che lo trascina e che a un certo punto può gettarlo all'asciutto su una riva a marcire al sole, oppure infrangerlo contro gli scogli e disperderlo nella corrente. L'acqua che può tracimare e avanzare su terre sconosciute, che può ridursi a un fiotto saltellante sui sassi, che può minacciare o rallegrare: l'acqua sì che è ben viva." E all'improvviso mi è venuta in mente la legge che regola la nostra esistenza sulla terra: una specie di teorema con la sua brava dimostrazione. "Esiste soltanto" mi son detto "chi ha la possibilità di incidere nella realtà intorno a sé, chi ha la capacità di realizzare una trasformazione piccola o grande che sia." Questo ho ripetuto più volte davanti allo specchio e poi, per un'ulteriore dimostrazione, ho dato uno sguardo alla mia vita (chiamiamola così per il momento) alle mie spalle. Che squallore! un avvicendarsi monotono di giorni nei quali tutto si è svolto al di fuori della mia volontà, a mia insaputa, come accade a quel pezzo di legno nella corrente del fiume. "Certo non sei il solo a trovarti in queste condizioni, ma che consolazione può darti il sapere che in giro ci sono altri vivi apparenti? Nessuna consolazione dal sapere di altri trascinati a valle come te, senza alcuna possibilità di opporsi alla corrente. In più, la scoperta che hai fatto ti costerà cara, perché dovrai sopportare il peso della conoscenza raggiunta continuando ad andare avanti, come hai fatto finora, ma con qualcosa che finora non hai avuto: una dolorosa ferita aperta che non potrà mai cicatrizzarsi..."

(alle spalle di Mario una scrivania con due telefoni. Il numero uno suona e Mario va a rispondere)

Pronto?... sì, sono proprio io... tutte le informazioni che vuole. Abbiamo acquistato l'intera area sul versante nord della collina... abbiamo progetti grandiosi, certo... la zona è magnifica e noi la valorizzeremo al massimo: sarà un'oasi verde a soli venti minuti dal centro della città. In alto costruiremo villette mono e bifamiliari con giardini separati; in basso condomini di lusso con parco e piscina in comune; al di là del bosco, invece, si apriranno ville prestigiose dotate di ogni conforto e di centro sociale con campi da tennis, galoppatoio, golf...! i lavori incominceranno il mese prossimo, ma bisogna affrettarsi con le prenotazioni perché abbiamo già venduto il sessanta per cento sulla carta... bene l'aspettiamo...

(squilla il telefono numero due. Mario abbandona il numero uno e risponde all'altro)

... sì, io in persona... fissi pure l'appuntamento con la mia segretaria: manderò un nostro incaricato sul posto...

(squilla di nuovo il telefono numero uno .Mario abbandona il numero due e risponde all'altro)

... Pronto?... lei deve parlare col nostro ufficio tecnico... sì, in linea generale qualche modifica al progetto si può apportare: noi cerchiamo sempre di favorire le richieste dei clienti, nei limiti del possibile... la faccio parlare con l'architetto capo...

(schiaccia un tasto, abbassa il ricevitore, resta immobile per un attimo per assicurarsi che i telefoni tacciano; poi, rivolto al proscenio)

... no, non illudetevi, non sono una persona importante, anche se ho un ufficio da solo e il mio nome scritto fuori della porta e sulla carta da lettere... sono solo apparenze. Per il resto è solo routine, stanca, sbiadita routine giornaliera. Volete vedere?...

(Schiaccia il tasto di un registratore; si ode la sua voce riprodotta)

"... sì, abbiamo acquistato l'intera area sul versante nord della collina... certo, la zona è magnifica e noi abbiamo progetti grandiosi..."

(schiaccia un altro tasto)

"... fissi pure 1'appuntamento con la mia segretaria: manderò un nostro incaricato sul posto..."

(schiaccia un altro tasto)

"... noi cerchiamo sempre di favorire le richieste dei clienti, nei limiti del possibile..."

Visto? si potrebbe proprio fare a meno di me: potrebbero pensarci al centralino a schiacciare i tasti secondo le richieste... ma dovrebbero assumere un'altra telefonista, e allora, tanto vale...

(entra Corrado; spalle curve, depresso)

Ciao, Corrado... che cos'è successo?...

(l'altro scuote la testa senza rispondere)

... hai una faccia che...

(verso il proscenio)

E' Corrado, un collega di lavoro, uno che è veramente vivo, anche se in questo momento non lo sembra.

(a Corrado)

Guai in famiglia?

 

Corrado

(con voce fioca)

– Quello no, per fortuna.

 

Mario

– Anche la voce hai perduto!

 

Corrado

– E come facevi a non gridare?... il bavaglio avrebbero dovuto mettermi.

 

Mario

– Ah!... stai parlando della partita di ieri sera... ma se era a Mosca, tu dove hai gridato?

 

Corrado

– Davanti alla televisione.

 

Mario

– E volevi farti sentire fin laggiù: ecco perché hai perso la voce.

 

Corrado

– Beato te che riesci a scherzarci su.

 

Mario

– Non c'è niente di drammatico, credimi.

 

Corrado

– Leggi un po' che cos'ha scritto stamani questo imbecille!

(sbatte un giornale sulla scrivania)

 

Mario

– Non te la prendere in questo modo.

 

Corrado

– Come si fa, dico, a non capire quello che è avvenuto in campo?... hai presente il calcio d'angolo del secondo tempo?

 

Mario

– Guarda che io ieri sera la partita non l'ho vista.

 

Corrado

– Eh?!... stai ancora scherzando, vero?

 

Mario

– Ieri sera avevo un impegno.

 

Corrado

– Un impegno?!... ma dico, sei diventato matto? un impegna si rimanda, ma una partita come quella quando la rivedi?

 

Mario

– E' stata bella?

 

Corrado

– Uno schifo. Stanotte non riuscivo ad addormentarmi per la rabbia.

 

Mario

– Allora non ho perso granché.

 

Corrado

– Dovevi vederla lo stesso per renderti conto fino a che punto di decomposizione può ridursi una squadra.

 

Mario

– E' uno studio che non mi interessa.

 

Corrado

– E pensare che io mi sarei dannata l'anima per seguire la squadra in trasferta.

 

Mario

– A Mosca?!

 

Corrado

– Il biglietto d'aereo costava troppo caro.

 

Mario

– T'è andata bene, allora.

 

Corrado

Ma vuoi mettere la soddisfazione di essere sul campo e di gridarglielo in faccia quello che si meritavano.

 

Mario

– Lo sai che a volte io non riesco a capirti.

 

Corrado

– Che cosa c'è da capire?

 

Mario

– Pensavo che ti piacessero le belle partite.

 

Corrado

– Naturale che mi piacciono; ma anche quando la tua squadra gioca male, è sempre la tua squadra. Non l'ami più tua moglie quando ha il raffreddore?

 

Mario

– Io di mogli non ne ho, ma il concetto l'ho capito lo stesso.

 

Corrado

– Meno male.

(squilla il telefono;Mario risponde)

 

Mario

– Pronto?... sì, sono io... 1'appartamento tipo è composto da un salone, due camere da letto, cucina e servizi... sì, c'è anche il box per 1'auto... bene, l'aspettiamo...

(depone il ricevitore; prende una lettera sul piano della scrivania e la mostra a Corrado)

Di' un po', sai niente di questo?

(Corrado legge il foglio)

 

Corrado

– Non ne so niente.

 

Mario

– Questo è matto. Dice che gli avevamo garantito l'appartamento per il quindici, e invece non sarà pronto fino a metà del mese prossimo.

 

Corrado

– E chi gliel'ha garantito?

 

Mario

(legge)

– ... "in seguito alla vostra assicurazione avevo fissato la data del mio matrimonio che ora devo rimandare di un mese..."

 

Corrado

– Pensa che fortuna gli è capitata... e questo sciagurato che non sa apprezzarla. Ha ancora un mese di tempo per pensarci su.

 

Mario

– Porse è innamorato cotto della fidanzata e non vede l'ora di sposarla.

 

Corrado

– Allora è un caso grave da ricoverare subito.

 

Mario

– Sei proprio sicuro della tua diagnosi?

 

Corrado

– Sicuro come tu sei davanti a me.

 

Mario

(verso il proscenio)

– Vedete com'è facile sbagliare? Ma Corrado non lo sa e con­tinua ad appoggiarsi su quelle che crede certezze, Per questo chiacchiero volentieri con lui, anche se non lo stimo molto: mi diverte quella sua sicurezza spavalda. E poi, diciamo la verità, il dialogo è l'unica forma di comunicazione che mi rimane. Basta che ci sia un altro e io sono immediatamente escluso. Alla presenza di un terzo, la mia persona viene automaticamente collocata nel suo posto abituale: il vuoto.

(a Corrado)

Parli così del matrimonio e poco fa hai confessato che ami tua moglie anche quando ha il raffreddore.

 

Corrado

– L'amore è una cosa e il matrimonio un'altra...la sai la barzelletta sul divorzio? oggi non sono in vena, ma tè la butto lo stesso...

 

Mario

(verso il proscenio)

– Sì, la so, ma faccio finta di niente... gli piace tanto raccontare le barzellette, povero Corrado. Io invece sono negato; ci ho provato qualche volta, ma ho sempre sentito il gelo intorno a me, o magari soltanto qualche smorfia sonora, il che è anche peggio, eppure erano barzellette spiritosissime, degne delle risate più scroscianti, e io le ho buttate via. Un'arte difficile e raffinata distrutta dalla mia limitatezza.

(scoppia in risate)

 

Corrado

– Ti è piaciuta?

 

Mario

– Sei formidabile con le barzellette.

 

Corrado

– Stamani non è giornata, te l'ho detto. Ho voluto soltanto provare a mandar giù l'amaro.

 

Mario

– Qualcuno ha detto che la vera comicità è sospesa sulla tragedia. Per me invece il dramma incomincia quando la racconto una barzelletta.

 

Corrado

– Hai mai provato a guardarla da vicino, a entrarci dentro per capire bene quali tasti spingere per far scattare la sua comicità? a volte tutto è affidato alla battuta finale, secca, bruciante; oppure tutto dipende da una pausa inserita al punto giusto, o da un calo di tono improvviso e...

 

Mario

(accennando al telefono che suona)

– Grazie della lezione, ma dobbiamo interromperla.

 

Corrado

– Continueremo un'altra volta.

(esce. Mario solleva il ricevitore)

 

Mario

– ... sì... bene...

(riabbassa il ricevitore e si avvicina al proscenio)

Corrado guarda da vicino le barzellette, non dentro se stesso, e certe domande non se le rivolge davvero. Cammina spedito eliminando dalla propria strada tutto ciò che può portare turbamento e quindi infelicità. Così come insegnava Epicuro che ho riletto in questi giorni. Le delusioni sportive non contano perché si dimenticano presto. No, a lui davanti allo specchio certe idee non sono mai passate per la testa. E' un bene o un male? "Sapere o non sapere di non essere? questo è il problema!" L'inizio del monologo dell'Amleto potrebbe essere questo...

(con un'occhiata fuori scena)

... ecco che arriva Ofelia... volevo dire Virginia, una collega d'ufficio...

(entra Virginia con un fascio di corrispondenza che appoggia sulla scrivania di Mario e incomincia a dividere)

… una che vuole essere viva ad ogni costo e che, bene o male, il problema dell'esistenza lo ha capito ed è ben decisa a risolverlo, secondo le leggi che abbiamo fissato prima, cercando di costruire qualcosa intorno a sé, di lasciare il proprio segno nella realtà che la circonda. E sapete in quale realtà vorrebbe operare? giusto nella mia: ormai non ci sono più dubbi.

 

Virginia

(consegnando un pacchetto di corrispondenza)

– Questa è per te... divertiti.

 

Mario

(esaminando il pacco)

– Per fortuna che il novanta per cento è da gettar via senza neanche aprirla.

 

Virginia

– Hai una cravatta nuova stamani.

 

Mario

– Saranno almeno dieci anni che ce l'ho.

 

Virginia

– Non te l'avevo mai vista.

 

Mario

– Era parecchio che non la mettevo.

 

Virginia

– Un regalo?

 

Mario

– No, non me l'ha regalata nessuno.

 

Virginia

– Strano, è una cravatta di buon gusto, di quelle che solo una donna sa scegliere.

 

Mario

– Non in questo caso, però.

 

Virginia

– Comunque, il nodo è fatto male... permetti?

(gli aggiusta il nodo)

 

Mario

(verso il proscenio)

– Ogni occasione è buona per sottolineare l'importanza di avere una donna vicino.

(a Virginia)

Grazie mille.

 

Virginia

– Passata bene la domenica?

 

Mario

– Una noia mortale. Ma per fortuna il lunedì ricomincia il lavoro e si riprende un po' fiato.

 

Virginia

– Io invece ho passato una domenica bellissima... il pomeriggio, naturalmente: il mattino devo aiutare la mamma in casa.

 

Mario

(verso il proscenio)

– Un piccolo accenno alle attitudini domestiche non fa certo male.

 

Virginia

– ... e indovina un po' dove sono andata.

 

Mario

– Non ne ho proprio idea.

 

Virginia

– Dove sarà realizzato il nostro nuovo progetto edilizio.

 

Mario

– Nostro?

 

Virginia

– Beh... quello della nostra ditta.

 

Mario

– Sei andata da sola?

 

Virginia

– Volevo portare con me Giovanni, il mio fratellino, ma lui la domenica è sempre impegnato con la sua squadra di calcio.

 

Mario

– Non hai un'amica, un ragazzo?

 

Virginia

– Lo sai che io non ho nessun ragazzo.

 

Mario

(verso il proscenio)

– Ma che domande mi fai? io non ho alcun impegno sentimentale, sono liberissima, disponibile per ogni seria proposta. E' divertente costruirsi da soli le domande e le risposte. Giochiamo ancora un po'.

(a Virginia)

Ci sarebbe da non crederci, carina come sei.

 

Virginia

– Non è a un tipo come me che gli uomini corrono dietro. E tu dovresti saperlo.

 

Mario

– E perché proprio io?

 

Virginia

– Perché sai bene di che cosa vanno in cerca gli uomini.

 

Mario

– Di quello che a te non manca di certo.

 

Virginia

– Ma quando si accorgono che non è facile ottenerlo, filano via.

 

Mario

– Non tutti gli uomini sono eguali.

 

Virginia

– Lo so, o almeno, lo spero. Sarebbe troppo triste, se no, dopo quello che hai visto ieri e le idee che senza volere ti sono entrate in testa.

 

Mario

– Nella zona del nuovo progetto?

 

Virginia

– Appunto. Ti dicevo dunque che ho preso la macchina e in venti minuti sono arrivata sul posto.

 

Mario

– Venti minuti? proprio come annunciamo sui nostri depliant.

 

Virginia

– La zona è meravigliosa, e ne sono rimasta affascinata.

 

Mario

– Aspetta di vederla aggredita dal cemento.

 

Virginia

– Io preferisco la cima della collina: c'è una vista stupenda dei dintorni. Un prato verdissimo che scende dolcemente, interrotto qua e là da cespugli fioriti... un vero paradiso, ti assicuro.

 

Mario

– Sarebbe bello se potesse restare così, no?

 

Virginia

– Pensa che proprio in cima alla collina costruiremo le unità mono e bifamiliari.

 

Mario

– Hai voglia di prenotarne una? come dipendente avresti anche uno sconto sul prezzo.

 

Virginia

– Dovrei avere una famiglia prima. Voglio dire, una famiglia mia.

 

Mario

(verso il proscenio)

– Ecco un dolce avvicinamento all'obiettivo...

(a Virginia)

Allora devi cercarti un marito. Per le giovani coppie c'è anche il mutuo agevolato.

 

Virginia

– Sarebbe come ricominciare una nuova vita lassù, ci pensi Mario?... il verde, i fiori, l'aria che ha il profumo della campagna...

 

Mario

(verso il proscenio)

– L'avvicinamento sta diventando troppo dolce; ci vuole una battuta d'arresto...

(a Virginia)

Sei anche tu una vittima dei nostri slogan pubblicitari?

 

Virginia

– Sono una che è convinta che la felicità a volte è vicina e noi non ce ne accorgiamo.

 

Mario

– Sulla cima di una collina?

 

Virginia

– Perché no? perché rincorrerla per strade lontane e sconosciute? perché non accontentarsi di quella che può trovarsi a portata di mano? Pensaci, Mario...

 

Mario

(verso il proscenio)

– E' la prima volta che mi rivolge un attacco così diretto...

 

Virginia

– ...che cosa ci fai tu, qui in città, da solo, a respirare quest'aria ammuffita, a farti fracassare i timpani dal traffico, notte e giorno?

 

Mario

(verso il proscenio)

– E' preoccupante... molto preoccupante...

(squilla il telefono)

... per fortuna una telefonata salvatrice...

(va all'apparecchio mentre Virginia esce)

... ah, sì... la metto in comunicazione con l'interessato...

(schiaccia un pulsante e abbassa il ricevitore; si avvicina al proscenio)

Le è andata male, povera Virginia... a ripensarci sento un po' di rimorso... mi fa anche un po' tenerezza vederla così innocente, priva di malizia... scoperta. E sarebbe anche una buona moglie, ne sono certo. Ma che cosa vado ad almanaccare, siamo impazziti?! ci mancherebbe altro che lasciarsi impallinare dal sentimento alla prima occasione! Intanto, sarà anche innocente, ma non priva di malizia. Vuole dimostrare la sua esistenza con un atto di erompente vitalità: un matrimonio. Ma ci pensa, lei, se il povero diavolo che vorrebbe sposare avrà modo di realizzarsi? no, questo a lei non interessa: davanti ai suoi occhi ci sono soltanto cespugli di gerani per il giardino e barricate di mobili per la sua monofamiliare.

(rientra Corrado)

 

Corrado

– Di' un po', ma che cosa le fai a quella povera ragazza?

 

Mario

– Quale ragazza, Virginia?

 

Corrado

– Quando esce da quest'ufficio è sempre stravolta.

 

Mario

– Dài, Corrado, non prendere in giro.

 

Corrado

– Stravede per te, non te ne sei accorto?

 

Mario

– E' una brava ragazza e una buona collega: non so vederla in altro modo.

 

 

Corrado

– Senti, senti l'innocentino! Io non me la lascerei scappare, puoi giurarci... e se non avessi moglie e due figli...

 

Mario

– Se non l'avessi di già, sarebbe il momento di prendere lei come moglie. Credo che aspetti soltanto un marito.

 

Corrado

– Vacci piano; certi sbagli si fanno una volta sola nella vita, e se fossi ancora scapolo, con l'esperienza di oggi...

 

Mario

– Dovresti cercartene un'altra, non Virginia.

 

Corrado

– Andrebbe bene anche lei, stai tranquillo.

 

Mario

– Sei sicuro?

 

Corrado

– Vorrei farti vedere che cosa riuscirei a concludere con lei.

 

Mario

– Fra una partita e l'altra o alla fine del campionato?

(Corrado ride ed esce. Mario avanza verso il proscenio)

 

Mario

– Magari è proprio vero, sono cose che capitano a chi ha i piedi ben piantati per terra e sa di avere un posto preciso nella comunità degli umani. Quelli come me invece sono sospesi in aria, fluttuano leggeri, privi di consistenza...

(suona il telefono che Mario indica)

... quando non c'è un filo che li riporti a terra.

(va a rispondere al telefono, poi ritorna al proscenio)

Quando è incominciato? Forse non c'è una data precisa e tutto è sempre andato così, fin da quando ero ragazzo e non riuscivo a legare con gli altri. Allora davo la colpa al fatto che negli studi e nello sport non mi impegnavo molto, e quindi non potevo entrare nel gruppo dei migliori con i quali mi sarebbe piaciuto stare. La vita militare non mi ha mai preso sul serio, e io ho fatto lo stesso. E qui siamo pari. Poi è arrivata tutta quella serie di mestierucci per pagarmi l'università, Ricordo montagne di buste da riempire con opuscoli di propaganda per la campagna elettorale: "lei si impegna poco in questo lavoro, ha la testa fra le nuvole... pensa troppo alla poesia..." E, per dire la verità, a quel tempo di poesie ne scrivevo, e anche qualche racconto: perfezionavo le attitudini al sentirmi escluso, sognando di conquistare un piccolo posto in campo letterario. La laurea, e poi giù a capofitto nel primo lavoro che m'era capitato; potevo forse sentirlo mio? Di chi la colpa, allora, della mia difficoltà di comunicazione? Nel mio isolamento sapevo tutto sui vantaggi della solitudine e assolutamente nulla su ciò che riguarda l'arte del vivere in mezzo ai propri simili. Ma per essere considerato dagli altri, prima di tutto occorre avere una consistenza che io non ho mai avuto. Una prova?...

(alle spalle di Mario ora c'è la vetrina di un lussuoso gabbiotto di portineria. Il portiere, in divisa, è lì davanti con le mani in tasca e la sigaretta in bocca)

 

Mario

– Buona sera? E' arrivata qualcosa per me?

 

Portiere

(con un cenno del capo)

– C'è un pacchetto sul tavolo... dev'essere per lei.

 

Mario

(entra nel gabbiotto ed esce con un pacchetto)

– Sì, è per me. Grazie.

(ritorna al proscenio)

Visto? Credete che sia lo stesso con gli altri inquilini? con gli altri è tutto un susseguirsi di inchini e di cerimonie. Non che io ci tenga, ma ogni volta il suo atteggiamento mi ricorda la precarietà della mia condizione. Corro in casa, mi affaccio allo specchio lentamente con il terrore di veder comparire l'armadio che sta proprio alle mie spalle, invece, chissà per quale miracolo, appare la mia faccia che io rimiro a lungo, cercando invano di scoprirvi quei tratti che agli occhi del portiere mi differenziano dagli altri abitanti della casa...

(comincia a scartare il pacchetto)

... a proposito, non fatevi idee sbagliate nemmeno sulla mia condizione economica o sulla mia estrazione sociale. Abito un paio di stanzette in un palazzotto signorile diventato tale dopo opportune ristrutturazioni. Quando i miei me le hanno lasciato, si trattava di un modesto appartamento di un modestissimo fabbricato. Ma la sua posizione in un'area centrale hanno consigliato... basta! non voglio entrare in precisazioni professionali. La mia parte di spese per la ristrutturazione l'ho pagata vendendo il mio box in cortile. Che me ne faccio di un box? la mia vecchia utilitaria la lascio per strada e non può fare gola a nessun ladro di auto...

(intanto ha disfatto il pacchetto che conteneva un libro)

... ecco qualcosa di importante per spiegare il mio carattere: la passione per la lettura. Si solito viene considerata una qualità positiva, ma, diciamoci la verità, che cos'è leggere un libro se non metterci alla finestra a guardare le vicende degli altri scorrere sotto di noi, che cos’è se non seguire lo sviluppo delle idee di altri senza potervi partecipare? Sì, leggere è anche altre cose: è entrare in comunicazione con un'altra mente, a volte grandissima... lo so. Ma si tratta di una comunicazione sollevata da terra, fluttuante nell'aria, adatta appunto alla mia natura.

Dunque, non posso dire con esattezza quando è avvenuto il distacco dalla terra ferma, se mai momento del distacco c'è stato, ma posso dire con sicurezza quando seno apparsi i primi sospetti sul mio navigare solitario, quando ho gettato un'occhiata dalla mia fragile zattera e ho avuto l'impressione di scorgere il mare da tutti e quattro i lati. E' incominciato circa un anno fa. Ma è meglio raccontare con ordine. Allora vivevo con Carla; era un'unione tranquilla e tutto filava liscio. Non avevamo ancora pensato a sposarci, dopo due anni di vita in comune, un po' per pigrizia e un po' perché, francamente, ci sembrava un atto superfluo che comunque poteva essere rimandato, io allora lavoravo in una casa editrice di libri scientifici e, a tempo perso, scrivevo qualche racconto e avevo persino incominciato un romanzo. Carla voleva diventare attrice e frequentava una scuola di recitazione. La nostra intesa sembrava perfetta, ma – questo l'ho capito più tardi – era dovuto al fatto che non avevamo avuto il tempo di studiare a fondo i nostri caratteri, impegnati tutti e due com'eravamo a raggiungere un obiettivo difficile che richiedeva tutta la nostra attenzione. Quel giorno Carla tornò a casa tutta raggiante...

(Divano con tavolino e armadietto. Carla entra di corsa, getta le braccia al collo di Mario e lo trascina in giro)

 

Carla

– Ci siamo, Mario, ci siamo! oh, come sono felice!

 

Mario

– Che cos'è successo, Carla?!

 

Carla

– Tu non sai... non immagini neppure lontanamente...

(canterella)

 

Mario

– Che cosa non so?... avanti!

 

Carla

– Muori dalla voglia di saperlo, vero?

 

Mario

– Sì, raccontami tutto.

 

Carla

– E' arrivato il momento che aspettavamo. Ti basta?

 

Mario

– No, non mi basta: voglio sapere tutto.

 

Carla

– Bruci per l'impazienza, eh?... e se io non volessi dirti niente?

 

Mario

– Smettila di giocare, per piacere, non tenermi più in ansia.

 

Carla

– Che cos'è che preferiresti di sentirti dire in questo momento?

 

Mario

– Non lo so, Carla, sono tante le cose che mi farebbero piacere.

 

Carla

– Pensa alla più bella in assoluto.

 

Mario

– Ti diverti a torturarmi in questo modo?

 

Carla

– Vuoi proprio saperlo? mettiti a sedere prima.

 

Mario

– Eccomi seduto... allora?

 

Carla

– Sei preparato per questa notizia?

 

Mario

– Ma sì!... vuota il sacco!

 

Carla

– Il tuo racconto "Nebbia sul molo", te ne ricordi?

 

Mario

– Che domande! è quello che è stato pubblicato su "L'avventura letteraria", no?...

(verso il proscenio)

... una rivistina quasi sconosciuta...

 

Carla

– L'avevo dato da leggere a un regista cinematografico che era venuto giorni fa alla scuola.

 

Mario

– Di chi si tratta?

 

Carla

– Nientemeno che di Sciacalli, quello che ha girato "La caduta delle stelle" e "Caccia all'orso bianco"... li hai visti?

 

Mario

– No, ma ne ho sentito parlare o letto qualcosa.

 

Carla

– Beh, tu non ci crederai, ma stamani è tornato per dirmi che il racconto l'ha affascinato...

 

Mario

– Davvero?!

 

Carla

– ... sì, e vuole tirarci fuori un film, capisci? era parecchio che cercava un soggetto come quello... pensa che ha già il produttore disposto a finanziarlo.

 

Mario

– Non. riesco a crederci.

 

Carla

– Neppure io, e quando Goffredo mi ha detto che ci sarebbe anche una parte per me...

 

Mario

– Goffredo?

 

Carla

– Sì, Sciacalli, lo sanno anche i sassi che si chiama Goffredo. Insomma, vuole conoscerti per mettersi d'accordo per la sceneggiatura.

 

Mario

– Sono pronto a incontrarlo quando vuole.

 

Carla

– Gli ho detto di venire da noi una sera.

 

Mario

– E quando verrebbe?

 

Carla

– Non ha potuto precisarmelo... sai, con tutti gli impegni che ha... una di queste sere, comunque...

Mario

(verso il proscenio)

– Arrivò quella sera stessa.

(La tavolo è apparecchiata. Entra Sciacalli; Carla gli va incontro; baci sulle guance fra i due; Mario verso il proscenio)

... è un'usanza fra la gente di spettacolo.

 

Carla

– E questo è Mario, l'autore del racconto.

 

Goffredo

– Ah, è lui... bene... 1'ho letto, sai...

 

Mario

– E le è piaciuto?

 

Goffredo

– Che il tuo racconto mi sia piaciuto o no, non ha nessuna importanza.

 

Carla

– Sai, Goffredo ha l'abitudine di dare del tu a tutti.

 

Mario

– Per me va benissimo.

(a Goffredo)

Che cos'è che ha importanza, allora?

 

Goffredo

– Quello che ci si può tirar fuori. Ho ragione, Carla?

 

Carla

– Direi di sì, se intendi il soggetto di un film.

 

Goffredo

– E io intendevo quello.

 

Carla

– Allora siamo d'accordo: ne ho già parlato a Mario.

 

Goffredo

– Mario, chi?

 

Carla

– Lui.

 

Goffredo

– Già... Mario si chiama. Avete già cenato?

 

Carla

– Stavamo proprio per incominciare. Se vuoi farci compagnia.

 

Goffredo

– Perché no?...

(siede al tavolo mentre Carla aggiunge un coperto e serve la pietanza)

... e lui cos'ha detto?

 

Carla

– Detto di cosa?

 

Goffredo

– Del film, no?

 

Carla

– E' entusiasta, naturalmente.

 

Mario

– Certo, io...

 

Goffredo

– Buono quest'arrosto... l'hai fatto tu?

 

Carla

– Si capisce.

 

Goffredo

– Brava sulla scena e brava in cucina. Hai qualche altra dote nascosta?

 

Carla

– Devi domandarlo a Mario. Vado a prendere l'insalata.

(esce)

 

Goffredo

– Dove l'hai trovata una ragazza come Carla, eh?

 

Mario

– Sì… effettivamente è una brava compagna...

 

Goffredo

– C'è un po' di vino?

 

Mario

(mescendo)

– Certo...

 

Goffredo

(beve e assapora)

– Buono. Anche questo l'ha scelto lei?

 

Mario

– No, del vino me n'occupo io.

 

Goffredo

– Io lo preferisco più secco...

(rientra Carla con l'insalata)

... lo sa che ci sono delle varianti da fare?

 

Mario

– Delle varianti dove?

 

Goffredo

E dove vuoi che siano, al piano regolatore?... ah, ah...

(alla risata di Goffredo si unisce Carla e quindi, un po' controvoglia, Mario)

 

Mario

– Varianti, a che punto?

 

Carla

– Vuoi del formaggio, della frutta?

 

Goffredo

– Né formaggio, né frutta: soltanto un caffè.

 

Carla

– Vado a preparartelo.

 

Goffredo

– Due cucchiaini e mezzo di polvere, né di più, né di meno.

 

Carla

– D'accordo.

 

Goffredo

– Anzi, se permetti, vengo io a misurarli: sono piuttosto pignolo col caffè.

 

Carla

– Vieni pure.

(escono tutti e due. Rumore di tazze e pentolini, poi la voce di Carla)

 

Voce di Carla

– Ma no... cosa fai?...

(risate)

... smettila!...

 

Mario

(ha qualche moto di impazienza, finalmente si avvicina alla parte da dove i due sono usciti)

– Hai detto che bisogna apportare delle variazioni, quali?

 

Carla

(appare ancora ridente)

– Un momento e Goffredo ti spiegherà tutto.

(Carla sparisce; ancora risate. Appare Goffredo con la tazzina del caffè in mano; dietro di lui viene Carla con la zuccheriera)

Quanto zucchero vuoi?

 

Goffredo

– Niente zucchero. Il caffè mi piace amaro, né troppo forte, né troppo leggero.

 

Carla

– Va bene, signor "né".

 

Mario

Dicevi, allora, per quei cambiamenti?

 

Goffredo

– Non gli hai detto nulla, Carla?

 

Carla

– Ma guarda, Goffredo, che io non so nulla.

 

Goffredo

– Non è con te che ho deciso l'epoca e il luogo dell'azione?

 

Mario

– E' il 1919 in un caffè di Berlino.

 

Goffredo

– E invece sarà più o meno cinquant’anni dopo, su un lago finlandese.

 

Mario

– Ma come?!... e l'atmosfera di squallore e di sconforto nella quale si muovono alcuni giovani tedeschi dopo la sconfitta subita?

 

Goffredo

– Niente squallore e nessuna sconfitta. L'azione di svolge in una comunità beat: ho della musica rock in esclusiva da introdurre nel film.

 

Mario

– E che cosa resta del mio racconto, allora?

 

Goffredo

– Quello che serve resta. Spiegaglielo tu, Carla, che cosa funziona e che cosa non funziona nel suo racconto... come la parte di Karl, per esempio, che viene ridotta per dare maggior spazio a quella di Marta.

 

Mario

– Ma se Karl è il protagonista della storia!

 

Goffredo

– E invece protagonista sarà Marta. Hai qualcosa in contrario?

 

Carla

– Via, Mario, non essere così rigido. Il cinema ha le sue esigenze e un'opera letteraria che viene tradotta in film deve necessariamente passare per certe modifiche.

 

Goffredo

– Brava, Carla! io non avrei saputo dir meglio.

 

Mario

– "Ma far diventare Marta la protagonista significa travolgere tutto il significato della storia.

 

Goffredo

– Ma lo sai che quello lì proprio non lo capisco!

 

Carla

– Quello chi?

 

Goffredo

– Lui... come si chiama... Mario!... non lo capisco proprio... si deve scrivere la sceneggiatura di un film e lui trova da ridire che alla sua donna spetti la parte principale.

 

Carla

A me?!...

 

Goffredo

E a chi, se no?

 

Mario

– Non sapevo che Carla dovesse ricoprire il ruolo di Marta... non credevo che fosse già pronta per...

 

Goffredo

– Ma, dico, in che mondo ti trovi?...

 

Mario

(verso il proscenio)

– Ahi, ahi… Se se ne accorge anche lui sono perduto!

 

Goffredo

– ... vivi con una donna e non sai quello che vale... non sai apprezzare le sue doti straordinarie... e tu, Carla, non ti senti offesa?...

 

Carla

Ma perché mi tratti in questo modo, Mario?

 

Goffredo

– ... non vuole che tu interpreti il ruolo principale di quel film, che tu abbia il riconoscimento che meriti...

 

Carla

– Questo da te non me lo sarei mai aspettata.

 

Mario

– Ma no, Carla, cosa dici... io non sapevo...

 

Goffredo

– ... non credeva che tu fossi un’attrice piena di carattere e di risorse, un'attrice che aspetta il lancio che la renderà famosa... non credeva che tu fossi pronta, capisci?... su, avanti, fagli vedere la scena che recitavi ieri quando sono venuto alla scuola.

 

Carla

– Quella della partenza dell'amato?

 

Goffredo

– Sì, proprio quella.

 

Mario

– Guardate che non c'è proprio bisogno...

 

Goffredo

– Zitto tu, e impara!...

(a Carla)

... il tuo innamorato è là che sta partendo... con il treno, la nave, l'aereo, non ha importanza... se ne va e porta via una parte di te stessa...

(Carla inizia l'azione mimica)

 

Goffredo

(trascina Mario davanti a Carla)

– Hai visto la piega del labbro... e l'immensa tristezza nella quale annegano i suoi occhi... qui ci vorrebbe un primo piano... e quella mano esile, delicata che si tende quasi a respingere quello che sta per accadere, che vibra nell'aria in accordo con i battiti del cuore...

(a Carla)

... sono gli ultimi attimi: sta partendo...

 

Mario

(a Carla che si è slanciata in avanti)

– Attenta... la scala!...

 

Goffredo

(si precipita su Carla, la stringe nelle braccia e la bacia su tutto il viso)

– Brava... brava! un'interpretazione sublime!...

(a Mario)

... hai visto?

 

Mario

– Sì, come espressione, mi pare...

 

Goffredo

– Capisci che sforzo, ha notato l'espressione! hai sentito, Carla? non è stato preso alla gola dall'emozione, non si è sentito una stretta insopportabile qui, allo stomaco, non gli è mancata l'aria di fronte a una scena come quella...ha notato l'espressione...

 

Mario

– Beh, io...

 

Goffredo

– Ma poi, che cos'è il cinema se non espressione di immagini?

 

Mario

– Appunto, io...

 

Goffredo

– ... le parole possono anche non esserci, oppure essere! e restare scritte sullo schermo, come usava al tempo del muto: il cinema parla con i visi, con quelli affascina e commuove. Hai presente Eisenstein? quelle facce agghiaccianti in primo piano che ti tolgono il respiro, nell'«Incrociatore», nel «Messico», nell'«Ivan»?... quello è vero cinema!

 

Mario

– Certo... non lo metto in dubbio...

 

Goffredo

(a Carla)

– Bontà sua, Mario non mette in dubbio le leggi fondamentali della cinematografia.

 

Carla

(ridendo)

– E' già qualcosa, mi sembra.

 

Goffredo

– Finora non ne ha masticato molto di cinema, vero?

 

Mario

– Effettivamente, fino a oggi...

 

Goffredo

– Dovrai cambiare registro, ora che Carla sta per diventare famosa.

 

Carla

– Non starai un po' esagerando?

 

Goffredo

– Stai tranquilla: io ho 1'occhio esercitato e certi valori non mi sfuggono.

(accarezzandola)

Mi sei piaciuta tanto, lo sai?

 

Carla

– Se continui così finirò per crederci anch'io.

 

Goffredo

– Un'intensità profonda e crescente che non è facile trovare in un’attrice. Voglio vederti così anche nella scena con Franz.

 

Carla

– Nell'idillio che sboccia fra Marta e Franz?

 

Goffredo

– Solo che l'incontro fra i due perderà ogni caratteristica romantica.

 

Mario

– E' una caratteristica legata alla natura psicologica dei personaggi.

 

Goffredo

– Non ti intromettere, per favore.

(a Carla)

Io quell'incontro lo vedo più disinibito, più carnale.

 

Carla

– Carnale, in che senso?

 

Goffredo

– Il pubblico oggi ha certe esigenze... io non voglio metterti nuda, ma qualcosa dobbiamo pur concedere.

Carla

– Per esempio?

 

Goffredo

– Sul dietro penso di inquadrare l'alto delle gambe, verso i glutei... e davanti scopriremo i seni che, fra l'altro, mi sembra che meritino proprio di essere visti.

 

Carla

– Ma è proprio necessario?

 

Goffredo

– Non ti impressionare: sono scene che passano anche negli oratori ormai. Invece, un pizzico di erotismo lo metterò nel rapporto fra Hans e Greta...

 

Mario

– La professoressa universitaria?

 

Goffredo

– Non più; è diventata ballerina di night.

 

Mario

– Ma com'è possibile che...?

 

Goffredo

– E' possibile. Basta guardare con occhio di cineasta.

 

Mario

– Ma il mio racconto?!...

G

offredo

– Rieccolo col suo racconto! la storia rimane sul fondo, come una luce lontana che serve di riferimento.

 

Mario

– Solo una luce lontana?

 

Goffredo

– E ti sembra poco?

(a Carla)

Va bene che gli autori sono incontentabili, ma questo mi sembra che esageri.

 

Carla

– Porse perché non riesce a ritrovare ancora lo spirito di quello che ha scritto.

 

Goffredo

–Non dimentichiamo che il racconto è diventato soggetto e quindi sceneggiatura: ha fatto un lungo cammino, mi sembra, ed è giusto che abbia perso per strada scorie e croste superflue.

 

Mario

– Storie... croste...?

 

Goffredo

– La falsità letteraria che non può trovar posto in un film.

 

Mario

– Ma il mio racconto...

 

Goffredo

– Ha esaurito il suo compito: ha dato al regista la spinta creativa, e ora che la sua funzione si è conclusa, l'autore dello scritto deve tirarsi da parte, dissolversi nel nulla per non ostacolare la nuova opera...

 

Mario

(si avvicina al proscenio)

... tirarmi da porte... dissolvermi nel nulla, come al solito... questo è il mio destino dovunque vada, qualunque cosa faccia... è questo quello che mi tocca.

 

Carla

(che ha accompagnato Goffredo fuori, ritorna al centro)

– Tutto a meraviglia. Sei contento?

 

Mario

– E tu sei soddisfatta?

 

Carla

– Ma come... un film che viene tratto da un tuo racconto... non sei entusiasta?

 

Mario

– Ma se del mio racconto non rimane nulla!

 

Carla

– E' fatale che nella versione cinematografica...

 

Mario

– Ho capito, è inutile che tu me lo ripeta: ha già detto tutto quello lì.

 

Carla

– Quello lì, Goffredo, è una persona gentile e simpatica, e tu stasera l'hai trattato con sufficienza.

 

Mario

– E' stato lui, se mai, che non ha avuto per me un briciolo di considerazione. Ha preso in mano il mio lavoro e ne ha fatto quello che ha voluto, senza domandarmi neanche un parere.

 

Carla

– Ma se non sai niente di cinema.

 

Mario

– Ne so quel che basta per difendere un mio lavoro.

 

Carla

– Goffredo è un grande regista e ti porterà al successo.

 

Mario

E in che modo?

 

Carla

– Scrivendo il tuo nome sui titoli di testa del film.

 

Mario

– Il mio nome su un soggetto che non è più mio.

 

Carla

– Ma se...

 

Mario

– Però va bene lo stesso, se serve a farti avere la parte della protagonista.

 

Carla

– Oh, Mario, riuscirò a farcela? io ho tanta paura.

 

Mario

– Senti di averne la capacità?

 

Carla

– Non lo so... è stata una notizia improvvisa che mi ha sconvolto... in questo momento non posso dirti nulla... eppure Goffredo è così convinto delle mie qualità...

 

Mario

– C'è un dubbio maligno che mi pizzica la lingua. Posso sputarlo?

 

Carla

– Certo che puoi. Anzi, devi buttarlo fuori immediatamente questo dubbio. Di che si tratta?

 

Mario

– Ho l'impressione che a quello Sciacalli tu interessi più come donna che come attrice.

 

Carla

– Ma no, che cosa vai a pensare?! sei completamente fuori strada; non conosci il tipo: è così con tutte.

 

Mario

– Vuoi dire che ci prova con tutte.

 

Carla

– E poi, anche se fosse come dici tu, non ci sarebbe nulla di male. Vedi, il regista vive profondamente il film che deve girare, al punto, a volte, di subire il fascino della prima attrice.

 

Mario

– Questo lo capisco poco.

 

Carla

– Deve poter comunicare passione nelle scene d'amore come se le vivesse in prima persona.

 

Mario

– Sarà perché l'ambiente del cinema è piuttosto lontano per me.

 

Carla

– Non più ormai, ora che scrivi soggetti e sceneggiature, ora che io sto per diventare la protagonista di un film importante.

 

Mario

– Quando hanno intenzione di incominciare?

 

Carla

– Presto, ma occorre un po' di tempo, mi ha detto Goffredo. Prima di tutto deve esser fatta una ricognizione sul luogo dove saranno girati gli esterni. Partiremo la settimana prossima per la Finlandia.

 

Mario

– Partiremo?!

 

Carla

– Eh, sì, dovrò andarci anch'io. Goffredo vuol fare qualche provino per studiare la luce del luogo, i riflessi sul mio viso, sui miei capelli... perché, tu non sei d'accordo?

 

Mario

– Io?... se tu pensi che sia necessario, io non c'entro.

 

Carla

– E' Goffredo che lo ritiene necessario.

 

Mario

– Non avevo il minimo dubbio.

 

Carla

– Come dici?

 

Mario

– Nulla.

 

Carla

– Ho capito: ti rincresce stare qualche giorno da solo.

 

Mario

– Certo che mi rincresce, ma riuscirò a sopravvivere.

 

Carla

– E' per il mio bene, ricordatelo, anzi, per il nostro bene... a quanti credi che capiti di scrivere il soggetto di un film?

 

Mario

– Io veramente ho scritto soltanto un racconto.

 

Carla

– E a quante ragazze alle prime armi come me accade di essere scelte come protagoniste?

 

Mario

– E' una fortuna troppo sfacciata; io al tuo posto sarei un po' sospettoso.

 

Carla

– Sempre il solito pessimista, non cambi mai.

 

Mario

(si avvicina al proscenio)

– Era facile essere profeta, ma come fare per trattenere Carla ormai proiettata con tutta se stessa verso il film che doveva interpretare? Partì alcuni giorni dopo per la Finlandia e qualcosa si spezzò dentro di me. Alla casa editrice mi chiamò il direttore: "Due «X» in meno e una «Y» in più, oltre a un «cinque alla quinta» che diventa «cinque quinti»: lei ha trasformato un Premio Nobel della fisica in uno studente pasticcione. Dove mette i suoi occhi, sulle righe di stampa? non credo." E aveva ragione. I miei occhi navigavano sui laghi della Finlandia e si addentravano nel folto di boschetti di betulle. Ricevetti due o tre cartoline, poi un biglietto scritto nel linguaggio telegrafico che Carla era solita usare. "La Finlandia è un paese meraviglioso. Io e Goffredo abbiamo lavorato sodo. Sono tanto felice. Sembra che i provini siano bellissimi. Come stai? vorrei averti qui con me. Post Scriptum: Il materiale che abbiamo girato è molto buono e Goffredo è riuscito a venderlo all'ente per il turismo finlandese. Ritorniamo a casa." Invece arrivò un secondo biglietto: "Giacché siamo nella zona, Goffredo ha deciso di andare al festival cinematografico di Oslo, e magari anche a quello di Copenaghen che incomincia fra una settimana. Mi manchi molto." Terzo biglietto: "Esperienza festival meravigliosa. Goffredo mi presenta a tutti come sua nuova interprete, un talento cinematografico che lui ha scoperto. Sono felice ma ho tanta paura. Ti penso spesso." Poi ci furono i festival di Dublino e di Toronto. Dal Canadà mi arrivò un telegramma: "Finanziatore film uccel di bosco, e film andato a monte. Mi dispiace." Ma di ritorno non si parlava perché, finiti i festival, erano incominciate le settimane–ycinema alle quali era importantissimo essere presenti per incontrare produttori, critici e altra gente dell'ambiente. Leningrado, Tananarive, Città del Capo, Capo Finisterre. Dal Venezuela arrivò un altro biglietto: "Manifestazione cinematografica di Caracas fallita miseramente. So di farti soffrire." E perché? a me della manifestazione di Caracas non importava un bel nulla. Qualche giorno dopo un telegramma da Managua: " Catturata da foresta amazzonica. Superlativamente bella. Nessuna voglia tornare. Dimenticami. Lavoro con Goffredo a film–documento su popolazione indigena che si sta estinguendo. Perdonami, Mario." E di che cosa? se quella popolazione si stava estinguendo non era mica colpa sua! Nuova convocazione dal direttore: "La formula di un fertilizzante per la coltivazione del pomodoro ha rischiato per un pelo di diventare quella per la fabbricazione del gas nervino. Siamo molto preoccupati, come anche lei può capire." E fui licenziato. Il mio lavoro, la sceneggiatura del film, la vita con Carla: tutto un fumo impalpabile e invisibile. Non restava niente intorno a me, così come ero abituato da tempo. Passi per il lavoro –ne avrei trovato un altro– e per la sceneggiatura del film a cui non avevo mai veramente creduto, ma per Carla il discorso era diverso: su lei avrei dovuto aver lasciato qualche segno, dopo due anni passati insieme. Invece non era rimasto nulla: qualche sigla, forse, in un alfabeto sconosciuto, un geroglifico consumato dal tempo, incomprensibile a tutti, persino a Sciacalli che non aveva esitato a imprimere il suo marchio su quella nuova conquista. Niente di nuovo. Tutto stava seguendo la strada abituale, e dentro di me prendeva sempre più corpo il sospetto sulla mia reale consistenza. Carla perduta nella ricerca di una popolazione che minacciava di estinguersi, senza curarsi del lento procedere di quella mia estinzione che era già incominciata da tempo e alla quale proprio lei adesso stava dando un'accelerazione definitiva. Però, in fondo, che cosa potevo pretendere, di competere con la foresta amazzonica?


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SECONDA PARTE


 

 

 

 

 

 

 

Mario

(al proscenio)

– Dove eravamo rimasti?... ah, già... a Carla che aveva perso la strada di casa nella foresta amazzonica. Non la ritrovò più, e io non organizzai spedizioni per le ricerche. Ma di questo non voglio più. parlare: non mi sembra giusto rattristarvi con fatti lacrimosi. Anche per quanto riguarda le mie crisi esistenziali, continuerò a parlarne solo se potrò farlo in modo disinvolto, magari strizzando l'occhio o arricciando le labbra come per preparare una risata. Anzi, ripensando bene a tutto quello che ho tirato fuori finora, mi accorgo che le note tristi hanno superato di troppo quelle allegre, e che è necessario riportare un giusto equilibrio. Che cosa faccio adesso? Potrei cantare una canzoncina se non temessi di aggravare la situazione. Giochi di prestigio, capriole, imitazioni non ne so fare, e le barzellette, ve l'ho già detto, non sono il mio forte. Per quanto ce n'è una che mi hanno raccontato di recente... No, meglio non rischiare: una barzelletta che non fa ridere produce un vuoto di tragedia che non si riesce a colmare nemmeno con i professionisti della risata.

Per fortuna che, continuando a raccontare, siamo arrivati a un episodio piuttosto divertente. Basta con facce e occhiate di circostanza: è il momento di sorridere, anche se sarò proprio io a farne le spese. Perché da questo episodio viene fuori bene in luce una buona porzione di me stesso, o meglio, del mio ectoplasma. Quella porzione che continua a ospitare visioni di mondi che non esistono più, e magari non sono mai esistiti, con brandelli di illusione che, nonostante tutto, continua no a sventolare su questo universo disincantato.

Il fattaccio era accaduto da poco: licenziato e abbandonato, sentivo il bisogno di svuotarmi di tutta l'amarezza che avevo accumulato dentro di me. E dove avrebbe potuto trovare conforto un isolato come me? con chi avrebbe potuto svuotarsi? con se stesso, naturalmente, riversando la sua malinconia su un foglio di carta. Anzi, parecchi fogli di carta. Insomma, era venuto il momento di terminare di scrivere quel romanzo che avevo in ballo da tempo. Ultimai il romanzo, lo rilessi e mi sentii soddisfatto: era un buon romanzo, e proprio allora mi frullò in testa un'idea pazza, quella di farlo pubblicare. Che l'idea fosse pazza me lo fece capire il direttore editoriale di un'importante casa, al quale ero arrivato per mezzo di una persona che avevo conosciuto alla casa di edizioni scientifiche...

 

Direttore editoriale

(è seduto alla sua scrivania; davanti a lui una poltrona ingombra di libri)

– Venga, venga avanti... e si accomodi... se riesce a trovar posto in mezzo a queste cartacce... quella pila di libri, per esempio, la butti giù... giù senza pietà... così!... mi ha telefonato Renzini per lei... come sta il nostro amico Renzini?

 

Mario

– E' un pezzo che non lo vedo.

 

Direttore editoriale

– Anch'io, sa, da dieci anni almeno... sono sepolto qua in mezzo senza potermi mai muovere... una volta invece, io e Renzini tutte le sere insieme al biliardo... ha mai visto, lei, Renzini giocare al biliardo?

 

Mario

– No.

 

Direttore editoriale

– Un castigo di dio... a boccette specialmente. Non l'ho mai visto perdere una partita. Che tempi quelli... ma chi è stato a inventare la carta stampata?... e il matrimonio, poi... Beh, non voglio piangerle sulla spalla... le posso offrire un caffè?

 

Mario

– Grazie, io...

 

Direttore editoriale

– Un caffè, certo...

 

(chiamando)

– ... Anna!... Anna!... anche una segretaria sorda mi doveva capitare... Anna!...

 

Segretaria

(entrando)

– Mi ha chiamato, dottore?

 

Direttore editoriale

– Finalmente! Portaci due caffè.

 

Segretaria

– La macchina è guasta.

 

Direttore editoriale

– Ancora guasta?!... e il tecnico della ditta è stato chiamato?

 

Segretaria

– Credo di sì, dottore.

 

Direttore editoriale

– Ah, credi di sì!... beh, falli portare dal bar i due caffè.

 

Segretaria

– Va bene, dottore.

(esce)

 

Direttore editoriale

– Visto che roba? Quella che avevo prima, sì, che era una segretaria... con lei la macchina del caffè non sarebbe restata un'ora guasta: avrebbe tempestato di telefonate... questa, invece, crede di sì... ma è inutile prendersela, andava bene per il direttore del personale, questa, e me l'hanno rifilata. Parliamo d’altro, caro signore... lei stamani con il ricordo di Renzini mi ha ringiovanito di quindici anni, lo sa? eravamo freschi di laurea tutti e due e abitavamo nella stessa pensione... scapoli, naturalmente: il mondo era nostro e noi ci tuffavamo le mani dentro, fino ai gomiti... perdoni il luogo comune. Poi sono arrivate le idee lugubri: la carriera, la famiglia... che tragedia! Di che cosa si occupa Renzini adesso, di pubblicazioni scientifiche, vero?

 

Mario

– Appunto.

 

Direttore editoriale

– Che tristezza! E io, sa guanti libri ho pubblicato da quando sono qui? Duecentoventotto romanzi e seicentoventitre saggi di genere vario: storia, filosofia, politica, e via di seguito, per non contare la ristampe dei classici... e, badi bene, senza mai leggerne uno.

 

Mario

– L'avranno fatto i suoi lettori.

 

Direttore editoriale

– Può darsi... ma chi si fida di quella gente lì? Sa quando ho letto l'ultimo libro, io? Quindici anni fa... ero appena arrivato qui e mi dettero da scrivere i risvolti di copertina di un libro che doveva uscire. Per forza ho dovuto leggerlo; ma fortunatamente poi non mi è più capitato.

 

Mario

– E come fa a sapere se un libro è buono oppure no?

 

Direttore editoriale

– Come ha detto, scusi?...

(ride)

... ah, ah... perché lei magari è uno che crede che per essere stampati i libri devono essere buoni... ah, ah... mi scusi, sa, ma davanti a certe ingenuità non riesco a trattenermi.

 

Mario

– E quali libri si stampano, allora?

 

Direttore editoriale

– Soltanto quelli che si possono vendere, naturalmente.

 

Mario

– Proprio per questo un libro deve essere buono.

 

Direttore editoriale

– Deve essere un libro di cui si parla, E non è detto che se ne debba parlare per le sua qualità artistiche.

 

Mario

– Bisogna ricorrere alla pubblicità, allora.

 

Direttore editoriale

– Ma lo sa lei quanto costa una campagna pubblicitaria, sia pure modesta? Più di quello che potrebbe rendere un'alta tiratura.

 

Mario

– Allora, per essere pubblicati bisogna avere un nome famoso.

 

Direttore editoriale

– Anche loro per vendere hanno bisogno di una spinta pubblicitaria.

 

Mario

– Come può cavarsela, allora?

(entra la segretaria che regge un vassoio con due tazzine)

 

Direttore editoriale

– Adesso prendiamo il caffè e poi glielo spiego...

(alla segretaria)

... appoggia qui... piano... ma non sulle carte!... da questa parte... attenta! stai per versarlo... così... piano... finalmente!... e lo zucchero?

 

Segretaria

– Subito, dottore...

(esce e rientra con la zuccheriera che appoggia sul vassoio ed esce)

 

Direttore editoriale

(che nel frattempo ha tamburellato sulla scrivania)

– Visto che roba?... mi domando se questa è una segretaria: goffa, maldestra. Quella che ho avuto, sì che era una segretaria! che tempo felice è stato quello! con lei bastava uno sguardo, un sorriso, e non c'era bisogno di altro. Lo sa che potavo assentarmi per un'intera giornata e tutto andava avanti alla perfezione? Precisa, intelligente, capace... e bella anche. Un viso dolce e sereno che illuminava tutta la stanza.

 

Mario

– E perché se n'è andata?

 

Direttore editoriale

– Andata, dice? me l’hanno strappata delle mani con la forza, con l'inganno più vile. Ma non mi costringa a ricordare: mi fa ancora male.

 

Mario

– Io ero venuto da lei per...

 

Direttore editoriale

– Non mi dica nulla, ci ha già pensato Renzini. E poi lo capisco da quello che ha sotto il braccio. A che razza appartiene?

 

Mario

– E' un romanzo.

 

Direttore editoriale

– E' il primo che scrive?

 

Mario

– Sì, il primo.

 

Direttore editoriale

– In generale l'opera prima è piuttosto stimolante sui lettori... sui lettori che hanno il gusto della scoperta e il culto dell'innocenza. E' un po' come con una donna: se è intatta le si perdonano anche dei difetti...

 

Mario

– Questo è incoraggiante.

 

Direttore editoriale

– ... ma c'è anche chi considera quello il difetto più grave: l'illibatezza. E allora bisogna convincere che, nonostante ci si trovi alle prime armi, almeno l'esperienza teorica non manca.

 

Mario

– Le posso assicurare che nel mio romanzo...

 

Direttore editoriale

– Non ha nessuna importanza, le ripeto. Ho fatto solo un accenno alle qualità letterarie, ma è bene dimenticarsele perché non servono a vendere un pezzo. Che titolo gli ha dato?

 

Mario

– "Carte in tavola".

 

Direttore editoriale

– Non è male... anzi, per essere sinceri, è un buon titolo: agile, sintetico e stuzzicante. Un titolo azzeccato è un buon inizio per la diffusione di un libro.

 

Mario

– Allora lei pensa che...

 

Direttore editoriale

– Piano... un titolo non basta, naturalmente. Sarebbe troppo facile, se no, diventare un best seller.

 

Mario

– Che cosa c'è da fare ancora?

 

Direttore editoriale

– Vediamo un po'... in questi giorni sta andando forte il romanzo di uno che è stato dieci anni in galera, e sembra innocente. Ne avrà sentito parlare anche lei...

 

Mario

– Sì, certo.

 

Direttore editoriale

– ... mentre lei in galera non c'è mai stato.

 

Mario

– Infatti.

 

Direttore editoriale

– Peccato!... nell'interesse del suo romanzo, naturalmente.

 

Mario

– Ah!

 

Direttore editoriale

– Fatti incresciosi in cui si è trovato coinvolto... scandaletti che potrebbero interessare l'opinione pubblica?

 

Mario

– Non ci sono.

 

Direttore editoriale

– Basterebbe uno straccio di relazione con una persona in vista per...

 

Mario

– Io non ho mai pensato che...

 

Direttore editoriale

– E ha fatto male! sono le prime cose a cui si deve pensare prima di scrivere un libro. Amicizie politiche?

 

Mario

– Nessuna.

 

Direttore editoriale

– Conoscenze strette alla radio e alla televisione?

 

Mario

– Nemmeno.

 

Direttore editoriale

– Critici famosi che assicurino recensioni su quotidiani importanti?

 

Mario

– Non conosco neppure quelli. Sa, io vivo piuttosto isolato.

 

Direttore editoriale

– No, lei scende da un altro pianeta.

 

Mario

(verso il proscenio)

– E se avesse ragione lui?

 

Direttore editoriale

(porgendo un foglio)

– Guardi questi nomi... sono i componenti della giuria dei premi più importanti: basterebbe entrare nella rosa dei candidati a uno di questi premi per essere a cavallo...

 

Mario

(legge)

– No, non conosco nessuno.

 

Direttore editoriale

– Ma lei non mi viene proprio in aiuto!

 

Mario

– Lo so e mi rincresce.

Direttore editoriale

– Io con il suo "Carte in tavola" ho le migliori intenzioni, ma qualche carta deve darla in mano anche a me...

(ridacchia)

... le è piaciuta la battuta? quelle che vengono così, a caso, sono le migliori. Avanti, dunque, mi venga in aiuto.

 

Mario

– Non so proprio in che modo.

 

Direttore editoriale

– Non ha mai avuto qualche contatto con il mondo delle lettere? la roba che ha scritto l'ha sempre tenuta chiusa nel cassetto?

 

Mario

– No, un paio di miei racconti sono stati pubblicati.

 

Direttore editoriale

– Oh, bene! e dove?

 

Mario

– Su "L’avventura letteraria".

 

Direttore editoriale

– E che roba è?

 

Mario

– Una rivista di letteratura.

 

Direttore editoriale

– Ma no! io non l'ho mai sentita nominare.

 

Mario

– La tiratura è un po' ristretta, ma...

 

Direttore editoriale

– Non c'è altro?

 

Mario

– Ah, sì! da uno di questi racconti doveva essere tratto un film.

 

Direttore editoriale

– Oh! vede che ci stiamo avvicinando. Mi racconti tutto di quel film.

 

Mario

– Non è stato realizzato perché il produttore, all'ultimo momento, non si è più fatto vivo.

 

Direttore editoriale

– E chi avrebbe dovuto realizzarlo?

 

Mario

– Un regista che ha anche un certo nome: Goffredo Sciacalli.

 

Direttore editoriale

– Quel miserabile, cialtrone, gaglioffo!

 

Mario

– Vedo che lo conosce bene.

 

Direttore editoriale

– E' stato lui, quel farabutto, a rubarmi la segretaria!

 

Mario

– E in che modo l'ha conosciuta?

 

Direttore editoriale

– Arrivò qui sciaguratamente per pubblicare un libro di cinema. Noi saremmo stati anche disposti, ma lui pretendeva un anticipo sui diritti... un anticipo al buio, capisce?... un anticipo a lui!

 

Mario

– E voi non ne avete fatto di nulla.

 

Direttore editoriale

– Naturale. Solo che quella carogna, andandosene, si portò via la ragazza.

 

Mario

– Portò via, come?

 

Direttore editoriale

– Le disse che aveva un viso adatto per fare del cinema e le promise la parte principale in un prossimo film che avrebbe girato.

 

Mario

– E lei gli ha creduto?

 

Direttore editoriale

– Sa come son fatte le donne: basta una promessa dei genere, e chi le tiene più.

 

Mario

– L'ha mantenuta poi la promessa con quella ragazza?

 

Direttore editoriale

– Vuole scherzare? per un po' di lei si son perse le tracce, ma qui non è più voluta tornare. E con lei come si è comportato quel manigoldo?

 

Mario

– S'era nesso sotto i piedi il mio racconto, riducendolo al punto che neppure io potevo più riconoscerlo.

 

Direttore editoriale

– Questo è veramente interessante...

 

Mario

– Ah, lo trova interessante?

 

Direttore editoriale

– Sì, perché m'è venuta un'idea. Vada avanti.

 

Mario

– Per fortuna è stato solo un progetto, perché del mio racconto non restava più traccia: atmosfere, personaggi, intenzioni, tutto travolto, passato al macero della sua spregiudicatezza e della sua presunzione.

 

Direttore editoriale

– Bene... meraviglioso!

 

Mario

– Come dice, scusi?

 

Direttore editoriale

– Lo sciacallo s'è avventato sul suo scritto e l’ha dilaniato; "Il pasto dello sciacallo", le piace come titolo?

 

Mario

– Come titolo di che cosa?

 

Direttore editoriale

– Del libro suo che pubblicheremo.

 

Mario

– Cosa c'entra lo sciacallo nel mio libro?

 

Direttore editoriale

– Allora non ha capito ancora niente: non è quello che ha sotto il braccio che pubblicheremo, ma il racconto dal quale lo sciacallo voleva tirar fuori un film.

 

Mario

– Ma quello è solo un racconto di una cinquantina di pagine...

 

Direttore editoriale

– Ne aggiungeremo qualche altro. Lei ha scritto altri racconti, vero?

 

Mario

– Certo, ma...

 

Direttore editoriale

– ... Ma soprattutto dovrà scrivere una prefazione adeguata che giustifichi il titolo del libro: dovrà raccontare per filo e per segno la violenza che quello sciagurato voleva compiere sul suo scritto.

 

Mario

– Violenza che non c'è stata perché il film non è stato realizzato.

 

Direttore editoriale

– Non importa, l'intenzione c'era di impossessarsi del lavoro altrui per ridurlo ai propri fini. E’ un discorso serio che investe l'etica da rispettare per il trasferimento in cinema delle opere letterarie, se ne rende conto? Gliela faremo pagare a quel fottuto bastardo!

 

Mario

– Ma ci darà querela!

 

Direttore editoriale

– E’ che ci vuole perché l’opinione pubblica si accorga di questo problema e prenda posizione. Che ai azzardi quel messere a darci querela: che si vinca o si perda non ha nessuna importanza. Di sicuro c'è che "Il pasto dello sciacallo" salterà immediatamente in testa alle vendite, diventerà inesorabilmente il libro dell'anno!...

 

Mario

(si avvicina al proscenio)

– Naturalmente tutto questo non avvenne perché il libro non fu pubblicato o io non scrissi l'adeguata prefazione. Avrei dovuto raccontare anche ciò che finora avevo taciuto, avrei dovuto tirare in ballo Carla, perché, non il mio racconto, ma lei, soltanto lei era stato il vero pasto consumato dalle sciacallo.

Ahi, ahi, ricadiamo nel patetico? no, state tranquilli, non mi lascio andare. Anche perché quel ricordo ormai aveva smesso di tormentarmi . Avevo trovato un nuovo lavoro e fu proprio in quel periodo che la feci finita con i dubbi e i sospetti che fino allora mi avevano torturato, affrontando me stesso davanti allo specchio, come vi ho già raccontato. "Tu non esisti" mi ero detto. E su quel punto non mi sentii più di discutere: era una certezza raggiunta. Ma voi avrete già capito che quel "me stesso" era un tipo piuttosto ostinato che non mollava la presa tanto facilmente. Infatti, non erano passati che pochi giorni, e già mi presentava davanti un'insidiosa interrogazione: "hai detto che non esisti, ma non sarebbe più giusto dire che non sei mai esistito finora?" "Vuoi insinuare che la mia attuale incapacità a legare con gli altri potrebbe cessare?" " Perché no? è troppo comodo sentirsi un escluso e accettare questa condizione senza far nulla per liberarsene." "Allora, secondo te, dovrei vivere altre esperienze, scontrarmi con altre realtà, trasformare il mio punto di arrivo in punto di partenza per chissà quali altre deludenti avventure?" Ricominciarono i dubbi e i sospetti dai quali credevo di essermi liberato, tornarono le esitazioni e le incertezze. Insomma, non ci fu nulla da fare: fui costretto ad affrontare una nuova prova per verificare le mie capacità di svolgere più o meno una vita normale, addormentata nel grembo della consuetudine. Non dovevo neanche faticare per cercare un'occasione: c'era Virginia a portata di mano, e con lei avrei potuto sperimentare a mio piacere. E fu proprio la prova–Virginia che accettai.

La prima volta che uscimmo insieme, lei volle condurrai sul luogo dove sarebbe dovuto attuarsi il progetto edilizio della nostra ditta. Dalla cima della collina guardavo il meraviglioso prato verdissimo che scendeva verso la valle, e lo immaginavo fra poco ferito a morte da ruspe e bulldozer, inciso da sentieri asfaltati, contaminato da colate di cemento e distese di calcestruzzo. E Virginia intanto mi ricordava, quasi non ne fossi a conoscenza, tutte le possibili soluzioni di acquisto dei futuri fabbricati...

 

Virginia

– Con i nostri stipendi, in vent'anni la villetta potrebbe appartenerci, quasi senza accorgercene.

 

Mario

– Appartenerci?

 

Virginia

– Cioè, potrebbe diventare di due persone come noi che intendessero sposarsi.

 

Mario

– Sai, in venti anni possono succedere un sacco di cose.

 

Virginia

– Lo dici come se ti aspettassi solo cose sgradevoli.

 

Mario

– Non ce n'è bisogno: solo vent'anni come i nostri non ti sembrano già un fatto spaventoso?

 

Virginia

– Ma sarebbero vent'anni passati insieme... cioè, passati insieme dai due che decidessero di sposarsi.

 

Mario

– Due numeri negativi che si sommano precipitano ancora più in basso.

 

Virginia

– Tu, Mario, hai un grande timore del matrimonio.

 

Mario

– Lo guardo con freddezza, negandogli le virtù taumaturgiche sulle quali qualcuno giura.

 

Virginia

– Forse tu attribuisci un'importanza esagerata alla vita, come se ti aspettassi qualcosa di meraviglioso che dovesse succedere...

 

Mario

(verso il proscenio)

– E se fosse proprio questo il punto, se Virginia avesse colto nel segno?

 

Virginia

– ... la vita per la stragrande maggioranza delle persone è lavorare vent’anni per pagarsi la casa in cui vive. Proprio quel fatto spaventoso di cui parli. Meglio affrontarlo in compagnia, non ti sembra?

 

Mario

– Sì,Virginia, hai ragione. In te parla la dolce e riposante voce della saggezza; in me lo sconforto e l'insoddisfazione si mordono la coda.

 

Virginia

– E che cosa pensi di fare per uscire dalla tua crisi?

 

Mario

– Puoi consigliarmela tu una cura efficace?

 

Virginia

– Devi darmi il tempo di studiarti un po' meglio.

 

Mario

– Tutto il tempo che vuoi: non desidero che starmene nelle tue mani ed essere esaminato da tutte le parti...

(verso il proscenio)

Cominciammo a frequentarci con una certa regolarità...

(cambiamento di luci; a Virginia)

A tè il film è piaciuto molto, vero?

 

Virginia

– Moltissimo. Come hai fatto a capirlo?

 

Mario

– Ti eri afferrata al mio braccio e lo stringevi nei momenti di tensione.

 

Virginia

– Non me n'ero accorta. A te, invece, non è piaciuto, o sbaglio?

 

Mario

– Ormai hai imparato a conoscere il mio modo di pensare.

 

Virginia

– Un po' troppo originale. Non devi lamentarti di trovarti isolato; la gente guarda con sospetto chi si distacca dal gruppo.

 

Mario

– Il problema, allora, è vivere in mezzo a quelli che ti capiscono.

 

Virginia

– Più facile rientrare nel gruppo, non ti sembra?

(ancora cambiamento di luci; Virginia alle spalle di Mario)

Mario... Mario!

 

Mario

(voltandosi)

– Che c'è?

 

Virginia

– E’ più di mezz'ora che te ne stai lì a guardare il mare senza dire una sola parola.

 

Mario

– C'è intorno un silenzio profondo, solenne: non ti sembra di sciuparlo con le nostre voci?

 

Virginia

– Dipende dai punti di vista, o meglio, di ascolto. Con un sottofondo così ogni cosa detta acquista solennità, non credi?

 

Mario

– Già, ma cosa dire? Io non penso di sapermi esprimere a un livello così elevato.

 

Virginia

– Oggi ti vesti d'umiltà; altre volte preferisci la superbia.

 

Mario

– Mi trovi superbo?

 

Virginia

–– Che cos'è 1'insoddisfazione che dimostri in ogni circostanza? non nasce dalla superbia l'atteggiamento di critica che assumi di fronte a tutto?

 

Mario

(verso il proscenio)

– E se fosse vero? se proprio questo fosse il mio vizio segreto?

(a Virginia)

Forse hai scoperto il mio debole; sai andare a fondo con le tue analisi.

(luce attenuata; musica lenta; Virginia balla strettamente allacciata a Mario)

 

Mario

– Non vorrei deluderti: sono un ballerino che vale poco.

 

Virginia

– Quello che conta è stare vicino a te, sentirmi fra le tue braccia.

 

Mario

– E' gentile quello che dici, ma anche un po' pericoloso per te, mi pare.

 

Virginia

– Lo dico perché so che per me non,e'è nessun pericolo.

 

Mario

– Sottovaluti il tuo fascino o fai troppo assegnamento sulla mia temperanza?

 

Virginia

– So che sei sempre presente, attento a non perdere mai il tuo equilibrio.

 

Mario

– Che cos'è, un elogio o un biasimo?

 

Virginia

– E' un riconoscimento doveroso a chi sa resistere alla tentazione di lasciarsi un po' andare qualche volta.

 

Mario

– A che misura corrisponde quell’«un po'»?

 

Virginia

– E' una misura che varia secondo le occasioni. Dipende da te calcolarla.

(Mario interrompe il ballo e si scioglie dall'abbraccio)

... cosa c'è, ho detto qualcosa di male?

 

Mario

– Il dialogo sta diventando troppo frivolo: non mi piace più.

 

Virginia

– Forse ho sbagliato a giudicarti: il tuo famoso equilibrio è soltanto paura.

 

Mario

– Può darsi. La cura che vorresti prescrivere per la mia crisi è troppo pericolosa. C'è il rischio che porti all'assuefazione.

 

Virginia

– E se fosse? Anche se la guarigione è impossibile, si può sempre raggiungere uno stato di non sofferenza. Non credi?

(Cerca di attirare Mario a sé per riprendere il ballo; cambiamento di luci)

 

Mario

– Avevi voglia di vedere la mia casa... soddisfatta?

 

Virginia

– Non si può dire di conoscere una persona se non si vede la sua abitazione. Lì non ci sono simulazioni ne inganni: ognuno appare secondo la sua vera natura.

 

Mario

– La mia è molto povera, come vedi: vivo in mezzo a poche cose pratiche ed essenziali.

 

Virginia

(alla finestra)

– A chi appartiene quella meravigliosa terrazza là sopra?

 

Mario

– Al superattico di seicento metri quadri più terrazza di trecento.

 

Virginia

– E chi ci abita?

 

Mario

– Un industriale famoso.

 

Virginia

– Vivi accanto a gente molto ricca.

Mario

– Anche qui isolato, come al solito.

 

Virginia

– Quanto compiacimento c'è nel sentirsi un solitario?

 

Mario

(Verso il proscenio)

– Ha scoperto anche questo... sa frugare bene dentro di me. Forse potrei anche confessarglielo di questo mio andare alla deriva: lei riuscirebbe a comprendere, ora che ha già capito parecchio sul mio conto. Ma è troppo pericoloso consegnarmi completamente nelle sue mani.

 

Virginia

(attirandolo sul divano sul quale siede)

– Hai voglia di aprirti, vero?...

(avvicina il suo viso a quello di lui)

... appoggia il capo sulla mia spalla e confessati... ti farà bene, sentirai... non devi vergognarti, non è un segno di debolezza, sai...

(lo circonda maternamente con il braccio)

... sì, così... avanti, senza timore...

 

Mario

(si alza e si allontana di un passo)

– No, Virginia, tu sei molto buona, ma non è giusto.

 

Virginia

– Che cosa non è giusto?

 

Mario

– Che io approfitti in questo modo della tua disponibilità.

 

Virginia

– Continui a fuggire... perché? non rinunciare a ciò che può farti un po' di bene.

 

Mario

– Non posso approfittarne: mi sei troppo cara...

 

Virginia

– Non pensare a me, ma a te stesso... e poi, basta con le ipocrisie: credi che a me non farebbe piacere?

 

Mario

– ... e poi... e poi non voglio che tu pensi che ti ho portato qui con quella intenzione.

 

Virginia

– E se quell'intenzione l’avessi già avuta io in precedenza, quando ti ho chiesto di invitarmi a casa tua?

 

Mario

– E' un gioco pericoloso, Virginia, fermiamoci prima che sia troppo tardi.

(si avvicina al proscenio)

Ci fermammo, infatti, anzi, fui io a tirare il freno. A malincuore, si capisce, perché Virginia, oltre a essere buona era anche una bella ragazza. Ma le stavo facendo del male e non volevo portare il danno più a fondo. D'altra parte, non era quello l'esperimento che dovevo fare; l'altro, la prova–Virginia era fallito miseramente. Avrei potuto, sì, attirare Virginia dalla mia parte, portarla a poco, a poco nel mio isolamento: non sarebbe stato difficile ottenere questo da lei con l'affetto. Ma non era questo il punto. Un passo verso gli altri, verso la normale collettività non l'avevo fatto, né mi sentivo in grado di poterlo fare nel futuro.

(suona il telefono sulla scrivania; Mario va a rispondere)

... Sì, le visite sul luogo avvengono la mattina dalle nove alle dodici e il pomeriggio dalle quattordici alle diciannove nei giorni feriali... nei festivi solo per appuntamento...

(suona l'altro telefono; entra Corrado)

 

Corrado

– Rubata ce l'hanno, rubata, hai capito?... uno a zero!

 

Mario

(al telefono)

– Bene...

 

Corrado

– Come bene?!

 

Mario

– ... perfetto... attendiamo la sua visita.

(depone il ricevitore)

 

Corrado

– Leoni in panchina e Rivoli a dormire sul campo, l'avevi mai visto?

 

Mario

– C'è gente in anticamera, vai tu a sentire cosa vogliono?

 

Corrado

– Sì, vado io... e per queste belle pensate devono chiamare un tecnico dal Sudamerica... ti rendi conto?

(esce; Mario risponde all'altro telefono)

 

Mario

– Pronto... dica pure... sì, solo venti minuti dal centro... comunque, la stazione ferroviaria è a meno di un chilometro... non c'è di che, si figuri...

(depone il ricevitore; rientra Corrado)

 

Corrado

– Richiesta di informazioni... li ho mandati all'ufficio tecnico: oggi non sono in vena.

 

Mario

– Ti si legge in faccia che non è la tua giornata.

 

Corrado

– Due pali al primo tempo e un rigore rubato nel secondo, capisci?... la jella e l'arbitro: tutti contro.

 

Mario

– Non dovresti metterci tanta passione.

 

Corrado

– E come si fa? se cominciamo a perdere queste partite facili, dove si va a finire, in serie B?

 

Mario

– Anche se dovesse succedere non sarebbe la fine del mondo.

 

Corrado

– Ma cosa dici? non sta bene bestemmiare in questo modo.

 

Mario

– Chiedo scusa. Io in fatto di calcio sono un ignorante.

 

Corrado

– No, non ci sei proprio.

(esce)

 

Mario

(verso il proscenio)

– Questo lo sapevo... E se tentassi un aggancio da quella parte? mi troverei immediatamente in mezzo a una folla... e tutti, magari, con il mio stesso problema che risolvono in quel modo... già... ma mi sentirei appagato, io, di esistere soltanto come massa da stadio?

(entra Virginia con la posta)

 

Virginia

– Ciao.

 

Mario

– Buongiorno, Virginia.

 

Virginia

– Che cos'hai fatto ieri di bello?

 

Mario

– Tutto il giorno in casa con. un libro, e tu?

 

Virginia

– Sono stata a vedere giocare la squadra di calcio del mio fratellino. Ferrari mi aveva invitato ad andare sul lago, ma io ho rifiutato.

 

Mario

– Ferrari dell'ufficio tecnico?

 

Virginia

– Sì, lui.

 

Mario

– E' un bravo ragazzo, mi sembra.

 

Virginia

– Ed è anche simpatico.

 

Mario

(verso il proscenio)

– Ecco, siamo al combattimento finale sull'ultima spiaggia: cerca di ingelosirmi. Virginia è una ragazza intelligente, ma non rinuncia a un espediente decrepito che fa acqua da tutte le parti. Eppure sa che con me non ha nessuna possibilità di successo. Povera Virginia, mi fa quasi pena nella sua lotta furibonda per uscire dalla schiera dei vivi apparenti, ma è sicuro che ci riuscirà un giorno o l'altro: ci mette troppo impegno per non riuscire. E un giorno o l'altro le accadrà di piantare la sua zappa nel campicello di Ferrari o in quello di un altro. Glielo auguro di tutto cuore.

(a Virginia)

Quando ti ha rivolto quell'invito?

 

Virginia

– Venerai scorso. Io ho la macchina dal meccanico e Ferrar! mi ha dato un passaggio sulla sua fino a casa.

 

Mario

– Se ti è simpatico, perché non hai accettato di andare al lago con lui?

 

Virginia

(porgendo un pacco di posta)

– Questa è per te.

 

Mario

– Non hai risposto alla mia domanda.

 

Virginia

– Ho ripensato alla domenica precedente, quando siamo stati al mare insieme...

 

Mario

– E questo ti ha impedito di andare sul lago?

 

Virginia

– Hai proprio bisogno che ti spieghi tutto io, non sai arrivarci da solo?

 

Mario

(verso il proscenio)

– Non era l'ultima spiaggia: il combattimento conclusivo si svolse il giorno dopo, tornando a casa dal lavoro...

(un uomo si avvicina a Mario)

 

Giovanni

– Mi scusi, lei è il signor Mario?

 

Mario

– Sì... e io con chi...?

 

Giovanni

– Sono Giovanni, il fratello di Virginia.

 

Mario

– Il fratello maggiore?

 

Giovanni

– Maggiore e unico.

 

Mario

– Io la credevo molto più giovane: sua sorella dice sempre "il mio fratellino"...

 

Giovanni

– E' un'abitudine di quando eravamo piccoli.

 

Mario

– ... e poi che lei la domenica è impegnato con il calcio.

 

Giovanni

– Sì, sono l'allenatore di una squadra di ragazzi. Io e Virginia siamo molto legati e ci soffro a vederla così: in casa non fa che piangere.

 

Mario

– Non mi dirà che piange per...?

 

Giovanni

– E invece è proprio così.

 

Mario

– Guardi che io nei miei rapporti con lei...

 

Giovanni

– Non c'è bisogno che mi spieghi: so tutto. Io e Virginia non abbiamo segreti. Questo sarà l'unico fra lei e me.

 

Mario

– Questo, quale?

 

Giovanni

– Il nostro incontro di stasera. Non gliene farà mai parola, vero?

 

Mario

– Può stare tranquillo.

 

Giovanni

– Non me lo perdonerebbe mai se lo venisse a sapere. Vede, Virginia conserva ancora qualche barlume di speranza, ma io ho capito come stanno le cose: lei non se la sente di impegnarsi seriamente e nello stesso tempo non vuole approfittare di lei.

 

Mario

–Virginia non è una ragazza per correre un'avventura.

 

Giovanni

– E di questo le sono riconoscente. In un'occasione simile sarebbero in pochi ad agire come lei.

 

Mario

– Se il matrimonio non mi spaventasse tanto, Virginia sarebbe la scelta giusta: intelligente, buona e bella com'è. Mi ha par lato di un nostro collega di lavoro che sembra interessarsi a lei.

 

Giovanni

– Un trucco innocente per farla ingelosire. Ha finto di avere l'auto guasta per farsi accompagnare a casa da lui.

 

Mario

– E l'invito sul lago?

 

Giovanni

– L'ha messo in condizione di farglielo; ha incominciato a par lare del lago con tanto entusiasmo che lui ha detto: "io ci vado tutte le domeniche, se qualche volta vuoi venire con me..."

 

Mario

– Cosa mi consiglia di fare, allora?

 

Giovanni

– La freddezza più assoluta; rapporti di ufficio e basta.

 

Mario

– Seguirò scrupolosamente il suo consiglio.

 

Giovanni

– La ringrazio infinitamente. Capisco perché mia sorella sia tanto dispiaciuta: non è facile trovare una persona come lei.

 

Mario

(avvicinandosi al proscenio)

– ... lo so, è quasi impossibile... ma facendo molta attenzione, nelle giornate luminose, può accadere di scorgere una forma indistinta e sfuggente che si frappone per qualche attimo alla luce del sole. Quello sono io. Così come può capitare di sentire il mormorio di una voce che non si sa bene da dove venga o che cosa dica. E' la mia voce quella: non potete sbagliare.

Però dovete ammettere che, nonostante la mia inconsistenza, gli effetti nocivi che da me emanavano erano operanti come quelli di un virus che non si vede e non si sente, ma colpisce senza pietà. Con quale feroce spregiudicatezza avevo condotto la prova–Virginia! E ora che tutto era finito, dopo i danni provocati, me ne uscivo ipocritamente a testa alta nelle vesti di un generoso gentiluomo? Ma non avevo previsto il rimorso che arrivò puntualmente. Con Virginia cercavo di essere indifferente e distaccato, ma nello stesso tempo l'osservavo di nascosto, sperando si scorgere i segni della rassegnazione se non addirittura dell'oblio. Passò qualche mese, poi finalmente mi accorsi di Ferrar! che l'aspettava tutte le sere in strada alla fine del lavoro. E allora tornai a sentirmi libero da ogni pensiero sgradevole, soddisfatto per la mia riacquistata innocenza. Ancora qualche mese opaco, senza storia, e poi una sera...

(Suono di campanello; Mario va ad aprire la porta di casa; Gabriella mette dentro la testa)

 

Gabriella

– Buona sera... posso entrare un momento?

 

Mario

Ma certo... si accomodi.

 

Gabriella

– Non chiude la porta?

 

Mario

– Sì... come vuole, signorina Gabriella...

 

(chiude la porta)

... si chiama così, vero?

 

Gabriella

– Mi conosce?

 

Mario

– Lei è la figlia dell'ingegnere che abita nell'attico: l'ho vista. qualche volta per strada portata a spasso dal suo cane.

 

Gabriella

– Come, scusi?

 

Mario

– Non penserà per caso di essere lei a portare a spasso il suo alano gigantesco.

 

Gabriella

– Molto divertente. Non ci avevo mai pensato, ma in fondo è proprio così. Anch'io la conosco: la mia terrazza domina le finestre di quest'appartamento...

 

Mario

– Già! devo rassegnarmi ad essere guardato dall'alto in basso. Non vuole sedersi?

 

Gabriella

– Grazie... solo che...

(corre alla porta e tende l'orecchio)

... mi sembravano dei passi sulle scale... invece non c'è nessuno...

 

Mario

– Aspetta qualcuno?

 

Gabriella

– Non penserà che abbia dato un appuntamento a casa sua.

 

Mario

– Domandavo così, per curiosità.

 

Gabriella

– E non è curioso di sapere perché mi trovo qui?

 

Mario

– Non è indispensabile che lo sappia.

 

Gabriella

– Ma io ho il dovere di dirglielo, proprio nel suo interesse.

 

Mario

– Non vedo il vantaggio che potrei ricavare dal saperlo.

 

Gabriella

– Potrebbe decidere di ributtarmi sulle scale.

 

Mario

– Ha un'opinione meschina del mio senso di ospitalità.

 

Gabriella

– Ma se sapesse che tenendomi qui infrange la legge?

 

Mario

– Non mi dica che è fuggita di casa... ma, del resto, lei non è più. minorenne.

 

Gabriella

– A casa mia c'è la polizia: per questo non voglio salire.

 

Mario

– Suo padre è nei guai? tangenti o roba del genere?

 

Gabriella

– Ci sono io nei guai, o meglio, un mio conoscente.

 

Mario

– E che ci fa la polizia a casa sua?

 

Gabriella

– Cerca delle armi.

 

Mario

– Addirittura! sembra di essere tornati a una ventina di anni fa.

 

Gabriella

– Lo vede che è una cosa seria. Tenermi qui nascosta potrebbe costarle caro.

 

Mario

– Come ha saputo che da lei c'è la polizia?

 

Gabriella

– Me l'ha detto il portiere.

 

Mario

– E non ha pensato a fare dietro–front quando l'ha saputo?

 

Gabriella

– Sulla porta c'era un poliziotto che lasciava entrare tutti, ma non faceva uscire nessuno. Ora, se decide di buttarmi fuori è più che giustificato.

 

Mario

– Non ci penso nemmeno, stia tranquilla.

 

Gabriella

– Allora ho scelto bene il rifugio. Vive da solo, ho detto, quindi c'è una sola persona a cui devo dare spiegazioni.

 

Mario

– Ha bussato alla mia porta per una semplice questione di economia?

 

Gabriella

– C'è anche il fatto che lei mi sembra distaccato dai pettegolezzi del palazzo, al di sopra di tutto ciò che accade.

 

Mario

(con calore)

– Molto al di sopra!

 

Gabriella

– Sono contenta di non avere sbagliato.

 

Mario

– Ora però deve dirmi quanti cannoni e quanti carri armati ha nascosto a casa sua.

 

Gabriella

– Non ci sono armi a casa mia, e nemmeno in altri luoghi… tutto è capitato per quell'idiota di un mio compagno d'università: si diverte a fare il ribelle, distribuisce volantini d'opposizione, si vanta di avere delle armi nascoste.

 

Mario

– Si ritorna a parlare di queste cose all'università? già ai miei tempi erano state dimenticate.

 

Gabriella

– Lo sono ancora per tutti. Quel mio compagno è un esemplare chissà come sopravvissuto.

 

Mario

– Ma lei cosa c'entra con quel suo amico, scusi?

 

Gabriella

– A parte certe idee strampalate, è un bravo ragazzo e stiamo spesso insieme.

 

Mario

– Deve scegliersele meglio le sue amicizie.

 

Gabriella

(si alza e va ad ascoltare vicino alla porta)

– ... sono loro!... stanno scendendo...

 

Mario

– Perché non usano l'ascensore?... fra l'altro, voi dell'attico, ne avete uno tutto per voi...

(alla ragazza che torna a sedersi)

... falso allarme?

 

Gabriella

– Falso allarme.

 

Mario

– Probabilmente l'aspettano di sopra. Non sarebbe meglio farsi vedere?

 

Gabriella

– Non è la polizia che voglio evitare, ma mio padre.

 

Mario

– Neanche lui potrà fare a meno di incontrare.

 

Gabriella

– Sì, ma non stasera. Fra poco uscirà per andare dalla sua amichetta e il campo resterà libero.

 

Mario

– E' sicura che anche stasera...?

 

Gabriella

– Non rinuncerebbe ad andare dalla sua amante neanche se mi vedesse portar via ammanettata.

 

Mario

– Ha un'alta considerazione di suo padre.

 

Gabriella

– Lo considero per quello che è: uno sporco capitalista.

 

Mario

(ridacchiando)

– E' un po' fuori moda l'ambiente che frequenta all'università.

 

Gabriella

– Trova?

 

Mario

– Estremismi sediziosi che hanno fatto il loro tempo...

 

Gabriella

– Quelli non mi riguardano.

 

Mario

– ...terminologia logora... da considerarsi quasi arcaica.

 

Gabriella

– Vuoi prendere le difese di mio padre?

 

Mario

– Me ne guardo bene. Le mie sono annotazioni di stile. Che anno fa d'università?

 

Gabriella

– L'ultimo.

 

Mario

– Facoltà?

 

Gabriella

– Lettere. Anche lei è laureato in. lettere, vero?

 

Mario

– Come l'ha saputo?

 

Gabriella

– Me l'ha detto il portiere.

 

Mario

– Strano! quando passo davanti al suo gabbiotto sembra quasi che non mi veda.

 

Gabriella

– E si meraviglia per quello?

 

Mario

(con calore)

– Assolutamente no!...

(ridacchia)

... è il fatto che si interessi tanto alle mie faccende che mi incuriosisce.

 

Gabriella

– Non sarebbe un buon portiere, le sembra?

 

Mario

– Senta... io stavo preparandomi la cena, perché non mangia un boccone con me?

 

Gabriella

– Non è una cattiva idea. Si sta bene qui da lei, c'è un buon odore di libri.

 

Mario

(annusando rumorosamente)

E anche di qualcos'altro!...

(esce di corsa e rientra con un recipiente)

... appena in. tempo...

(indicando l'armadietto con la testa)

...là dentro c'è una tovaglia...

 

Gabriella

(aprendo un cassetto)

– Questa?

 

Mario

– Quella...

(appoggia il recipiente sulla tavola apparecchiata, quindi corre all'armadietto)

... posate... piatti e bicchieri... ci vuole anche il vino...

(esce di corsa mentre Gabriella sistema le stoviglie; Mario rientra con una bottiglia e avvicina due sedie al tavolino)

... si accomodi qui.

 

Gabriella

– Non potremmo darci del tu?

 

Mario

– Niente in contrario.

 

Gabriella

–Mario, vero?

 

Mario

– Mario.

 

Gabriella

– Ti sembro troppo spregiudicata?

 

Mario

– Mi hai preso per un borghese conformista?

 

Gabriella

– Assolutamente no.

 

Mario

– Grazie mille.

 

Gabriella

– Con un conformista mi sarei comportata peggio.

 

Mario

– Per esempio?

 

Gabriella

– Avrei cercato di mettere a soqquadro il suo conservatorismo.

 

Mario

– Cioè, l'avresti radicato ancor più nel suo bagaglio di certezze.

 

Gabriella

– Non si deve lottare contro le idee sbagliate, allora?

 

Mario

– Meglio fare in modo che vengano abbandonate spontaneamente. Ti piace la mia cucina?

 

Gabriella

– Non so cosa sto mangiando, ma la trovo appetitosa. Mi è venuta un'idea.

 

Mario

– Sentiamo.

 

Gabriella

– Sto preparando la tesi sulla poesia d'amore siciliana nel Mille e duecento. Mi daresti una mano?

 

Mario

– A che punto sei?

 

Gabriella

– Devo ancora incominciarla.

 

Mario

– Sei a un buon punto, allora.

 

Gabriella

– Che ne dici?

 

Mario

– La mia tesi l'ho fatta su Catullo: una poesia d'amore piuttosto diversa da quella che si scriveva alla corte di Federico Secondo.

 

Gabriella

– Allora?

 

Mario

– Ci sarà da lavorare un bel po'.

 

Gabriella

– Non gratis, naturalmente.

 

Mario

– Naturalmente. S'è mai visto qualcuno dei quartieri alti che non faccia tintinnare le sue monete?

 

Gabriella

– Non volevo offenderti, scusa.

 

Mario

– Ti ho risposto anch'io con arroganza. Pareggio in casa direbbe un mio collega di lavoro.

 

Gabriella

– Tieni presente che i soldi sono di mio padre e che toglierli di tasca a lui è quasi un dovere.

 

Mario

– Se lo dici tu.

 

Gabriella

– Accettato?

 

Mario

– Accettato.

(brindano, poi Mario si avvicina al proscenio)

E' andata proprio così all'inizio; non ho tolto ne aggiunto nulla. Era una ragazza semplice, allegra, disinvolta e persino ingenua nella sua studiata spregiudicatezza. Mi piaceva stare con lei, per questo avevo accettato di aiutarla con la sua tesi. Per me era come tornare indietro di alcuni anni, ai tempi dell'università, quando ancora pensavo che avrei fatto chissacché con la mia laurea...

(esce e rientra subito dopo con Gabriella)

 

Gabriella

– Che serata stupenda! non sono mai stata così bene.

 

Mario

– Non mi dirai che con i tuoi amici...

 

Gabriella

– Cervellotici piani rivoluzionari o battute di spirito di bassa lega: ecco quello che si può ottenere da loro. Era un pezzo che non partecipavo a una conversazione intelligente come ho fatto stasera.

 

Mario

– Ti dirò Che nemmeno io mi sono annoiato.

 

Gabriella

– Però stasera al ristorante hai speso quasi tutto lo stipendio della settimana. Se continua così dovrò aumentarti il compenso per la collaborazione.

 

Mario

– Basta che l'assegno sia sempre tuo padre a firmarlo.

 

Gabriella

– Perché, scusa?

 

Mario

– Lo saprai anche tu che cosa vuoi dire arrivare in banca con un assegno firmato da tuo padre: sorrisi, inchini... 1'ultima volta è venuto addirittura il direttore a pagarmelo.

 

Gabriella

(indicando sul tavolo)

– Cosa sono tutti quei libri?

 

Mario

– E' un po' di storia che faremo bene a ripassare. Devo pur guadagnarmelo il mio stipendio, no?

 

Gabriella

– E' proprio necessario consultare tutta quella roba?

 

Mario

– Quella poesia è nata in un determinato periodo storico; volere o no è stata influenzata da ciò che stava accadendo politicamente e militarmente.

 

Gabriella

– E perché non economicamente? perché non guardare quali erano i rapporti di produzione a quel tempo, in quali condizioni si svolgeva il lavoro?

 

Mario

– Parleremo anche di quello, certo, senza però dare alla tua tesi una chiave di lettura marxista.

 

Gabriella

– Ma se è proprio dallo studio di quei rapporti di produzione che possiamo capire la società di quel tempo. Vorresti negarlo?

 

Mario

– Io non nego niente: dico solo che non mi sembra opportuno un approfondimento in quel senso.

 

Gabriella

– Lo trovi fuori tempo, vero?

 

Mario

– Lo trovo piuttosto rischioso. Potrebbe non essere apprezzato.

 

Gabriella

– Ecco finalmente far capolino la tua vera natura: l'opportunismo!

 

Mario

– Ed ecco il solito modo manicheo di pensare!

 

Gabriella

– Vorresti dire che con me è impossibile discutere?

 

Mario

– Che è molto difficile finché non ammorbidisci certe posizioni settarie.

 

Gabriella

– Lo sai che cosa penso del tuo conformismo piatto e meschino?

 

Mario

– E' facile chiudermi lì dentro ed evitare di rispondere. Ma tu non cerchi un incontro di idee: hai bisogno di qualche tuo amico che agiti fantasmi di insurrezione.

 

Gabriella

– I miei amici sono degli idioti; non hai visto la faccenda delle armi?

 

Mario

– E se le armi fossero esistite davvero, li avresti giudicati intelligenti?

 

Gabriella

(dopo una breve pausa)

– Hai ragione: a volte mi lascio trascinare dalle parole e non so quello che dico.

 

Mario

(porgendole alcuni libri)

– Capita a tutti... dacci un'occhiata domani.

(viene al proscenio)

Mi piaceva stare con lei, anche se bisticciavamo spesso. Non c'erano molte cose ad unirci, se non da parte mia un dolce rimpianto per i tempi passati che adesso tornavano a galla. Per quanto la riguardava, penso le piacesse contrastare dialetticamente con uno più maturo di lei che però non usava un convenzionale linguaggio perbenistico, ma si esprimeva al suo stesso livello. Per il resto eravamo distanti: io inseguito dalla crisi che mi lasciava deluso e dolente, e lei gonfia di ansia di vivere, di sperimentare, di credere. Quello che accadde in seguito nessuno di noi l'aveva previsto: avvenne in modo naturale, quasi senza accorgercene prima, e poi senza stupircene, come si fosse trattato di qualcosa che doveva assolutamente avvenire...

(Mario e Gabriella seduti sul divano;Mario sta leggendo un foglio)

 

Gabriella

– Che cosa ne dici di questo passaggio?

 

Mario

– Può andare. E' come avevamo stabilito ieri, no?

 

Gabriella

– Da questo punto però non riesco ad andare avanti.

 

Mario

– Ci riusciremo, stai tranquilla. Quando il discorso è sui binari giusti... a proposito, dove l'hai presa quella citazione di Herbert Marcuse?

 

Gabriella

– Da "L'uomo a una dimensione".

 

Mario

– Ohi ti ha consigliato quelle letture, il tuo amico rivoluzionario?

 

Gabriella

– Non mi credi in grado di sceglierle da sola?

 

Mario

– Sento la sua presenza in ogni momento.

 

Gabriella

– E come la riconosci?

 

Mario

– Dal puzzo di naftalina.

 

Gabriella

– Che cosa sono per te le idee dei filosofi, abiti che passano di moda?

 

Mario

– Abiti che, secondo le stagioni, è bene riporre in naftalina. Appunto.

 

Gabriella

– L'analisi dell'uomo moderno ingannato dalla società consumistica, il suo fatale precipitare nell'alienazione... argomenti fuori tempo, vero?

 

Mario

– Fuori luogo, soprattutto. E' una tesi di laurea la tua o un trattato socio – politico?

 

Gabriella

– Mio padre avrebbe detto le stesse cose.

 

Mario

– Vuol dire che per oggi sono d'accordo con lo sporco capitalista.

 

Gabriella

(scoppiando a ridere)

– Anche questa volta hai ragione, come al solito... facile la vita se devi lottare con una come me, vero?

 

Mario

– Ti metti a fare la vittima adesso? non è nel tuo personaggio, sai.

 

Gabriella

– E' vero. Oggi sono piena di poesia d'amore... amore siciliano del Mille e duecento. Chi sarebbe mai capace ai nostri giorni di parlare a una donna con una passione così travolgente?... a rileggerle quelle poesie sembra che l'amore sia una pratica antica di cui oggi si è persa memoria... reperti archeologici, brandelli di incantato, prodigioso rapimento... Questo vorrei cercare di dire nella mia tesi.

 

Mario

– E questo devi dire.

 

Gabriella

(apre un libro)

– I versi di Giacomo da Lentini, li ricordi?...

(legge)

"Lo viso mi fa andare alegramente,

lo bello viso mi fa rivegliare

lo viso mi conforta spessamente

l'adorno viso che mi fa penare..."

 

Mario

– Nessuna donna poteva restare insensibile a parole come queste.

 

Gabriella

– Oh, molto di più: io sono certa che nessuna donna sarebbe stata in condizione di resistere a una dichiarazione così appassionata.

 

Mario

(continuando a leggere)

"Lo chiaro viso de la più avenente

l'adorno viso –riso– me fa fare.

Di quello viso parlane la gente,

ché nullo viso a viso li pò stare.

 

Chi vide mai così begli occhi in viso,

ne sì amorosi fare li sembianti,

ne bocca con cotanto dolce riso?

 

Quand'eo li parlo moroli davanti

e paremi chi vada in paradiso,

e tegnomi sovrano d'ogn'amanti.

(Mario e Gabriella si guardano negli occhi, poi si gettano l'uno nelle braccia dell'altra e si baciano)

 

Mario

(si avvicina al proscenio)

– Ci furono pochi cambiamenti nella mia vita: Gabriella veniva tutti i giorni da me per lavorare alla tesi che, per dire la verità, andava avanti molto lentamente. Continuò fra noi quello scontro dialettico che in fondo giovava alla nostra amicizia perché le impediva di fermarsi sui binari morti della routine. Ah, sì, un cambiamento ci fu, e di questo devo assolutamente parlare...

(Dal suo gabbiotto esce il portiere con in mano il berretto e una lettera)

 

Portiere

– Buongiorno, dottore... è arrivata questa per lei...

 

Mario

– Grazie mille.

 

Portiere

– Se posso essere utile in qualcosa.

 

Mario

– Grazie di nuovo... molto gentile.

(il portiere s'inchina di nuovo rimettendosi il berretto, quindi si allontana)

Lì per lì mi ero meravigliato di quel cambiamento ma poi, ripensandoci bene, capii che il portiere non era me che vedeva –e su questo non c'era alcun dubbio– ma Gabriella, o meglio, suo padre. Mi tornò in mente il principio di Archimede, quello che parla di un corpo immerso in un liquido che riceve una spinta verso l'alto eguale al peso spostato. Immersi in una piscina, il mio corpo ovviamente di spostamenti non ne avrebbe provocato, ma ci sarebbe stata la massa corpulenta del padre di Gabriella a gravare su di me, anche senza bisogno di essere materialmente presente. E a questo Archimede non aveva pensato.

(Mario e Gabriella sul divano; Gabriella è in sottoveste e Mario a torso nudo)

 

Mario

– Che ne diresti di andare un po' avanti con la tesi?

 

Gabriella

– E' tardi: ho ancora pochi minuti da restar qui.

(si ravvia i capelli)

Eri molto innamorato della ragazza che abitava con te?

 

Mario

– Chi ti ha parlato di lei, il portiere?

 

Gabriella

– L'ho osservata qualche volta dalla terrazza, era molto graziosa.

 

Mario

– Se lo dici tu.

 

Gabriella

– Vuoi dirmi che a te non piaceva?

 

Mario

– Non l'ho detto. Cosa fai, incominci a essere gelosa?

 

Gabriella

– Dov'è andata a finire?

 

Mario

– S'è tuffata in un lago finlandese prima di scomparire nella foresta amazzonica.

 

Gabriella

– Ti ha fatto soffrire?

 

Mario

– Ora è tutto finito, grazie a te. Non ho più pensato a lei da quando ti conosco.

 

Gabriella

– Ma ti è rimasta addosso l'abitudine alla tristezza: basta lasciarti andare un momento per vedere la tetraggine calarti sul viso.

 

Mario

– Dipende da motivi diversi da quelli che tu hai sospettato.

 

Gabriella

(toccandogli il viso)

– Vediamo un po' cosa c'è sotto questa ruga che attraversa tutto lo zigomo...

 

Mario

– Porse gli anni che passano.

 

Gabriella

– ... oppure sotto queste che solcano la fonte per lungo. Non mi dirai che sei tu a farle apparire, per sottolineare un atteggiamento di disprezzo verso ciò che ti circonda.

 

Mario

– Non lo farei mai quando sono con te.

 

Gabriella

– Allora da dove nasce questa malinconia?

 

Mario

– E' un po' lungo a spiegarsi: lo farò un'altra volta.

 

Gabriella

(alzandosi)

– Devo rimettermi il vestito... dove sono le mie scarpe?... hai visto le mie scarpe?...

(esce; Mario indossa la camicia)

 

Gabriella

(riappare con il vestito e una sola scarpa)

– Ho perso una scarpa... ah, eccola qui sotto...

(la ricupera sotto il divano)

... allora, a domani...

 

Mario

– A domani.

(si baciano)

 

Gabriella

– Ti sembro presentabile?

 

Mario

– Direi di sì. Perché questa domanda?

 

Gabriella

– A volte ho l'impressione che tutti riescano a leggermi sul viso la nostra storia.

 

Mario

– C'è chi la conosce già nei minimi dettagli: il portiere, per esempio.

 

Gabriella

– Da un po' di tempo le mie amiche mi trovano più. bella. Dici che dipende dal nostro rapporto?

 

Mario

– Chissà. Vuoi controllare?

(le porge uno specchio)

Sei una cara ragazza, spregiudicata in superficie, e nel profondo così innocentemente bambina.

 

Gabriella

– Ah, dimenticavo di dirti una cosa...

 

Mario

Che cosa?

 

Gabriella

– Sono incinta.

 

Mario

– Eh?!... come hai detto?!...

 

Gabriella

– Me l'ha confermato il mio ginecologo l'altro giorno.

 

Mario

(con un passo verso il proscenio)

– Un lampo mi illuminò il cervello e un calore improvviso si irradiò per tutto il corpo...

 

Gabriella

– Cosa c'è, Mario, ti senti bene?

 

Mario

– ... ma come... l'hai saputo l'altro giorno... e non me ne avevi ancora parlato?!...

 

Gabriella

– Cosa succede?... sei diventato pallido come un morto...

 

Mario

– E' 1'emozione... per questa notizia incredibile, meravigliosa!

 

Gabriella

– Sentilo il maschio soddisfatto per aver dimostrato la sua capacità riproduttiva!

 

Mario

– No, è qualcosa di più... ah, se tu sapessi!

 

Gabriella

– Cosa dovrei sapere?... dimmelo Mario... che cosa c'è che devo sapere?

 

Mario

E come poteva arrivarci da sola?... Povera Gabriella, era lì a domandarsi che cos'era successo, che cosa aveva scatenato improvvisamente la mia irresistibile gioia. Non sapeva che in quel momento avevo finalmente capito che cosa avrebbe messo fine all'agitazione che mi tormentava, stroncando la febbre che mi divorava da tempo...

(a Gabriella)

...un figlio, Gabriella ... era così semplice, eppure non ci avevo ancora pensato... un figlio per ancorare alla terra una forma che finora ha ondeggiato nel vuoto!

 

Gabriella

– Non ti capisco, Mario, parla più chiaro... tu desideravi un figlio?

 

Mario

– Sei tu che me l'hai fatto scoprire in questo momento... oh, cara, tu non sai il bene che mi hai fatto!... è l'acqua per chi muore di sete, il balsamo sopra una ferita che brucia... l'aspettavo senza saperlo questo figlio che mi riporterà nella vita!...

 

Gabriella

– Non ti conoscevo sotto questo aspetto, Mario... tu desideri un figlio che io non posso darti.

 

Mario

– Che cosa dici, Gabriella! io ho bisogno di un figlio, capisci?!

 

Gabriella

– Mi dispiace, caro, ma metterlo al mondo non è proprio possibile.

 

Mario

– E perché mai? ci sposeremo se è questo che vuoi...

 

Gabriella

– Non è questo.

 

Mario

– ... allora vivremo insieme per sempre, è lo stesso.

 

Gabriella

– E alla mia famiglia non ci pensi?

 

Mario

– Vuoi che non accettino un figlio tuo?... e anche se così fosse, al momento, sei tu la più forte. Venderemo quest'appartamento e andremo ad abitare in un'altra zona. Tu non ami il lusso, lo so, preferisci la vita modesta; comunque al bambino e a te non mancherà mai nulla, te lo prometto. Cercherò di guadagnare di più andando anche a insegnare in una scuola serale o dando lezioni private: ce la caveremo dignitosamente, vedrai... so che disprezzi questa pianificazione meschina e questa terminologia borghese, ma c'è un bambino che deve arrivare e a lui dobbiamo sacrificare almeno la facciata delle nostre opinioni...

 

Gabriella

– Oh, mio caro, come sarebbe bello tutto questo! non ti ho mai visto, sai, così pieno di vitalità, di entusiasmo... ah, se fosse possibile!

 

Mario

– Perché, in nome di dio, non è possibile?!

 

Gabriella

– Il capitalista di sopra non l'accetterebbe mai.

 

Mario

– E allora?! sei maggiorenne, puoi decidere tu la tua vita!

 

Gabriella

– Potrei andarmene di casa, d'accordo, e subito dopo se ne andrebbe anche lui per vivere con la sua amica. E cosa accadrebbe di mia madre? Sono io il cemento che bene o male tiene ancora insieme la nostra famiglia.

 

Mario

– Ma che cosa se ne fa tua madre di un uomo che è pronto ad andare a vivere con un'altra donna?

 

Gabriella

E’ suo marito, e questo per lei è fondamentale.

 

Mario

E vuoi sacrificare un figlio per salvare certe squallide apparenze?

 

Gabriella

– Mettiti al mio posto, Mario, rifletti un pochino.

 

Mario

– Sono tutto dalla tua parte in questo momento, e penso a quanto dovrebbe costarti la decisione che vorresti prendere.

 

Gabriella

– E' più facile di quello che credi. E' successo anche a Maria Luisa, una mia amica, il mese scorso. Si entra in clinica la mattina e la sera stessa si torna a casa.

 

Mario

– Ma che cosa dici! stai parlando di mio figlio!

 

Gabriella

– Sono io che decido, non lo dimenticare. O vorresti schierarti con coloro che vorrebbero togliere alle donne il diritto di scelta?

 

Mario

– Non è il tuo caso, Gabriella, lo sai bene. Non puoi approfittare di una via d'uscita che non è stata aperta per te. Nostro figlio sarebbe il benvenuto, avrebbe tutte le attenzioni possibili. Ti prego cara, fruga bene dentro di te prima di decidere, ti supplico... mi hai fatto vedere un lembo di cielo e ora non puoi rinchiudermi in questa stanza al buio!

 

Gabriella

– Mi dispiace vederti soffrire, povero Mario... adesso provo il rimorso di avertelo detto. E come facevo a immaginare che tu avresti tenuto tanto a diventare padre?... Ma devi convincerti che non è possibile, in nessun caso...

 

Mario

– Sì, non è possibile, ora lo capisco anch'io: c'è in ballo il pericolo di perdere i soldi di tuo padre...

 

Gabriella

– Non è vero.

 

Mario

– ... sono quelli che vi tengono insieme, te e tua madre...

 

Gabriella

– Non puoi accusarmi in questo modo!

 

Mario

– ... insieme allo "sporco capitalista" delle contestazioni universitarie, ma nume protettore nelle altre stagioni!

 

Gabriella

– Stai mentendo, e lo sai bene...

 

Mario

– Ho mentito a me stesso quando ho accettato di confondermi con una classe diversa dalla mia...

 

Gabriella

– ... e continui a mentire!

 

Mario

–... con chi gioca all'impegno ideologico, ma non dimentica la sua estrazione ed è pronta a rientrare nella sua posizione di casta!...

(avvicinandosi al proscenio)

Ecco, volevo fermarmi qui per indicare al vostro disprezzo certe velleità contestatrici, frutto delle letture mal digerite di una classe annoiata. Ma mi accorgo che a questo punto la mia figura appare sotto una luce sbagliata, quasi circondata dai lumini di una vittoria raggiunta. Invece mi sentivo il cuore gonfio di amarezza e il corpo spossato per la sconfitta subita. E in più, quella voce dentro di me che non mi dava tregua: "si è bruciata l'unica possibilità che avevi di raggiungere una realizzazione, di rientrare nel mondo..." "lo so, maledizione, lo so! per cosa continui a ricordarmelo?!" "non riuscirai mai ad incidere nella realtà intorno a te, dovrai continuare ad andare avanti a balzelloni sulla corrente, come quel pezzo di legno, finché un'ondata più forte non ti getterà a marcire sulla riva..." "so anche questo, non dici nulla di nuovo, non fai che irritarmi di più..." "sulla terra sono rimaste le tracce di chi è vissuto, in tutte le epoche: dalle uova di dinosauro ai graffiti delle caverne, ai segni nel bronzo, nel ferro, nella pietra... solo nel vento resteranno le tracce della tua trasparenza, della tua mancanza di peso..." "Basta così!" ho detto "o finirò con l'odiarti, col chiuderti quella bocca per sempre!"

Dev'essere proprio così quando uno decide di farla finita con quel "se stesso" arrogante e presuntuoso, noioso e insopportabile... sì, dev'essere così... ma che cosa dico, per carità?!... avevo promesso di divertirvi, di farvi sorridere, e guarda un po' dove sono finito: al suicidio! Diamoci una regolata, non è così che volevo concludere! Ora, visto che non mi è riuscito di rallegrarvi, non mi resta che chiedere scusa e squagliarmela in punta di piedi... Ma perché, poi? io qui sopra non ci sono mai stato: voi avete assistito a qualche gioco di ombre e ascoltato qualche suono che chissà da dove veniva. Nell'epoca della radio e della televisione può sempre capitare di cogliere a volo qualche dialogo, o addirittura lo spezzone di un dramma, senza sapere bene di quale argomento si tratta, ne chi sono i protagonisti, ne se è una storia veramente accaduta, oppure uscita dalla fantasia di qualche sceneggiatore. A questo punto, allora, posso andarmene tranquillo... voi non mi avete visto... d'accordo?

(un cenno di saluto)

 

 

 

BUIO

 

 

 

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