ALFREDO BALDUCCI

 

 

UNO STRUGGENTE RICORDO

 

 

 

Una gradevolissima occasione l'uscita di Maschere alla ribalta di Ruggero Jacobbi per la Bulzoni Editore, non solo per il salto indietro di quarant'anni (cinque anni di cronache teatrali 1961-'65) che ci permette di spaziare su un periodo particolarmente interessante della nostra scena di prosa, ma anche perché insieme con le vicende di palcoscenico viene fuori la storia del nostro paese. Non poteva essere che così: ancora una volta il teatro si rivela come lo specchio più fedele della nostra vicenda umana, autentica sostanza del nostro essere, contenitore delle nostre aspirazioni e delle nostre illusioni. Un percorso di cinque anni illustrato dall'intelligente e affascinante prosa di Ruggero Jacobbi che ci ricorda la prodigiosa facoltà di comunicazione orale delle sue lezioni, delle sue conferenze, dei suoi interventi battaglieri e appassionati per difendere il teatro, scoprire il mondo di un autore, sottolineare la prova degli attori, rilevare la funzione di una regìa o di una scenografia.

Ma è soprattutto su uno struggente ricordo personale che il volume di Jacobbi ha operato, sul vedere riaffiorare nella memoria gli spettacoli vivi e colorati di un magico quinquennio gonfio di entusiasmi e di speranze. Non potevano mancare i raffronti. Che cosa non è mai diventato questo nostro povero teatro da alcuni decenni? Un'istituzione spenta che sopravvive nelle sale più importanti con la ripetizione sempre più stanca dei soliti testi classici, che, ad eccezione di Goldoni, morto nel 1793, o di Pirandello, scomparso nel 1936, si guarda bene dal mettere in scena un autore italiano, che, oltre ad avere cancellato la drammaturgia nazionale contemporanea, trascura anche le opere più importanti nate negli ultimi tempi all'estero, a meno che non si tratti di successi di cassetta che si spera di poter ripetere qui.

Ma, aperto lo scrigno dei ricordi, non è facile poterlo richiudere. Ed ecco riaffiorare gli anni del dopoguerra, il '47-'48, come naturale conseguenza della lettura del volume di Jacobbi. Ritorna l'atmosfera che si era creata a quel tempo fra tutti i giovani che si occupavano di teatro. Eravamo ansiosi di riallacciare i contatti con il teatro straniero che il fascismo aveva brutalmente interrotto; volevamo seppellire quel teatro commerciale che il fascismo aveva demagogicamente difeso perché nazionale; volevamo cambiare il pubblico che affollava le platee perché capivamo che la battaglia per un nuovo repertorio non poteva essere combattuta con il vecchio pubblico borghese. Dai fermenti di quel periodo nacque il «Piccolo Teatro» di Milano e, poco dopo, gli altri stabili, teatri a gestione pubblica che, solo in parte hanno potuto svolgere una funzione importante per il nostro teatro.

Si riaffaccia alla memoria il circolo «Il Diogene» di Milano, un'associazione di amanti di teatro alla quale partecipavano uomini di spettacolo come Paolo Grassi, registi come Strehler, critici come Valsecchi, Rebora e altre personalità famose nel mondo della cultura. Qui nelle riunioni del mattino della domenica si discuteva con fervore degli spettacoli che erano stati presentati e di quelli che avremmo voluto vedere. Qui Grassi e Strehler annunciarono le loro idee che avrebbero poco dopo trovato realizzazione nella fondazione del «Piccolo Teatro». Qui una domenica mattina Ugo Betti venne timidamente a leggerci il lavoro che aveva da poco finito di scrivere: Corruzione al palazzo di giustizia. Dopo gli applausi restammo muti e pensierosi. Forse pochi di noi capirono di essersi trovati di fronte a un capolavoro, ma tutti eravamo pienamente convinti che quello era un esempio dei testi che avremmo voluto vedere in scena nel futuro.

Questo non è avvenuto. O meglio, non è ancora avvenuto. E questo scatto di ottimismo non vuole contrapporsi al gusto di amaro che sentiamo in gola, ma è una riflessione sui millenni di teatro che abbiamo dietro di noi. In fondo non si tratta che di una sosta di una cinquantina d'anni. Il teatro continuerà dopo di noi e supererà la crisi di oggi. E allora volumi come Maschere alla ribalta riprenderanno la loro funzione di testimonianza su un periodo della nostra storia senza aprire abissi di delusione su ciò che poteva essere e non è stato.

 

 

 

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Un cinegiornale Luce del settembre 1961